L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per “il Secolo XIX”

Tra i commenti postati su YouTube sotto il trailer italiano di “Il grande match”, protagonisti gli agé Sylvester Stallone & Robert De Niro, ce n’è uno che dice: «Rocky Balboa vs Toro Scatenato, e chi se lo perde…». Altri giudizi sono meno incoraggianti, in verità: si va dal «patetico» al «ridicolo», e certo il rischio della rimpatriata senile c’era, eccome. Invece il film di Peter Segal è una sorpresa piacevole, anche la conferma che, con l’invecchiamento della popolazione nei Paesi occidentali e la spaventosa diffusione della “pirateria” cinematografica tra giovani e trentenni, le storie legate alla cosiddetta terza età offrono un bacino d’utenza da prendere in considerazione pure sul piano del puro marketing. Non che sia una novità. Chi non ricorda successi come “Cocoon”, “Vivere alla grande” o “Due irresistibili brontoloni”? Cucinati in vario modo, stagionati attori del calibro di Wilford Brimley, Hume Cronyn, Don Ameche, Art Carney, George Burns, Lee Strasberg, Walter Matthau e Jack Lemmon si divertivano a rimettere in gioco pensionati intristiti e demotivati, chi rapinando, chi amoraggiando, ripudiando la sindrome da “Umberto D”. Anche di recente il filone è tornato in auge. Prima “Gran Torino” di e con Clint Eastwood, poi i due “Red” costruiti su ex agenti operativi della Cia che si rimettono a fare sfracelli, “Last Vegas” con quattro “pantere grigie” che vivono la loro “notte da leoni” nella città del gioco, “Quartet” di Dustin Hoffman ambientato in una casa di riposo per musicisti e cantanti lirici, “Nebraska” con l’incartapecorito Bruce Dern, “All Is Lost” col tinto Robert Redford, lo stesso “Philomena” di Stephen Frears, che qui in Italia sta viaggiando verso i 4 milioni di euro.

Poteva mancare il ring? No. Anche se all’inizio Stallone s’è mostrato scettico, poi, tra “Escape Plan” con il coetaneo Arnold Schwarzenegger e il terzo episodio della serie “I mercenari” dove comparirà anche Harrison Ford, il muscoloso divo 67enne ha accettato la simbolica resa dei conti con il 70enne De Niro.
I due, De Niro ora doppiato da Stefano De Sando e Sly da Massimo Corvo, avevano già recitato insieme nel malinconico poliziesco “Copland”, anno 1997, ma solo per poche scene. Qui invece il match attoriale fa il paio con quello ai guantoni, dentro un gioco drammaturgico che più classico non si può: due boxeur che furono grandi ma ormai dimenticati da tutti, trent’anni dopo la cruciale sfida che non si tenne mai accettano di tornare sul ring per chiudere la partita. “Grudge Match”, suppergiù “sfida all’ultimo sangue tra due campioni che si odiano”, suona il titolo originale, preso dal gergo del wrestling. Qui da noi, dove il film esce giovedì 9 gennaio targato Warner Bros dopo veloce passaggio a Roma delle due star in cartellone, il match è diventato “grande”: e c’è del vero, perché Stallone & De Niro sono davvero bravi, la storia non è poi così convenzionale e il duetto virtuosistico dribbla i rischi dell’operazione-nostalgia. Non che in patria sia stato un trionfo: uscito per Natale, ha incassato finora 21 milioni di dollari, essendo costato il doppio, ma c’è il resto del mondo, dove i due attori, con fortune alterne, continuano a richiamare un certo pubblico non proprio di primo pelo ma fedele.

Del resto, i film sulla boxe, come certi western o polizieschi, sono contenitori perfetti per raccontare percorsi di redenzione e dignità. «Il pugilato è una metafora della vita. Ti stende al tappeto ma può anche farti rialzare» non si stanca di ripetere l’atletico Stallone nelle interviste televisive, spesso accanto a un laconico De Niro con il berretto a coppola. Entrambi hanno picchiato duro sullo schermo, l’uno nei sei “Rocky” che ha girato e spesso diretto, l’altro nell’epocale “Toro Scatenato” di Martin Scorsese, sicché deve essere apparsa una gran trovata metterli insieme, invecchiati e sulle prime fuori forma, per vedere l’effetto che fa.
Lo spunto reale? Il match tra Larry Holmes e George Foreman, nel 1999 cinquantenni, che non si tenne mai. Qui invece – siamo a Pittsburgh – Henry “Razor” Sharp, cioè Stallone, e Billy “the Kid” McDonnen, cioè De Niro, accettano la rentrée, un po’ per soldi e un po’ per tigna. Il primo è un metalmeccanico vestito Carhartt dalla testa ai piedi (product placement in stile working class ?), non sa come pagare le bollette e per diletto accrocchia animaletti con pezzetti di ferro; il secondo vende auto usate e gestisce un locale notturno dove si esibisce come comico che non fa ridere. L’uno è malinconico e crepuscolare, l’altro è sbruffone e puttaniere; naturalmente tutte due hanno avuto a che fare ai tempi d’oro con la stessa donna, che poi è la sessantenne Kim Basinger, da sempre innamorata di “Razor” ma madre di un figlio avuto da “the Kid”. Insomma avete capito. Mentre la stampa specializzata sfotte e la coppia deve esibirsi in pubblicità strampalate per contratto, comincia l’allenamento, che sarà massacrante, specie per De Niro, abituato a bere e gozzovigliare, ma deciso a punire chi nel 1983 gli negò la rivincita. «Se qualcuno di voi va al tappeto significa che ha avuto il colpo della strega?» commenta un giornalista, e certo gli acciacchi non mancano, tra occhi che vedono male, ginocchia deboli e muscoli inflacciditi.

Pare sia stato De Niro a credere fortemente nel progetto. «Ha insistito per dieci mesi, io avevo paura di danneggiare la memoria di Rocky, va bene un po’ di parodia, ma non volevo farlo diventare un cartone animato» ha spiegato Sly al mensile “Ciak”. Invece De Niro non ha mollato, è dimagrito quasi dieci chili sotto la guida del trainer Robert “Bob” Sale e ha chiesto a Stallone di “coreografare” il match, perché tutto risultasse abbastanza credibile. In realtà, lo scontro finale con tanto di “ralenti” è poca cosa rispetto ai classici del genere; più azzeccate sono le dinamiche familiari, la gragnuola di battute reciproche sull’età, le amabili strizzatine d’occhio a “Rocky” , i riferimenti alla promozione “virale”, il clima generale spiritoso ma non caricaturale. Occhio ai titoli di coda: dopo c’è una sorpresa…

Michele Anselmi