L’angolo di Michele Anselmi 

Quei passi incerti sulla Luna per ritrovare un po’ di quiete sulla Terra. Sembra questo il senso esistenziale di “First Man – Il primo uomo”, il film di Damien Chazelle che ha inaugurato la Mostra di Venezia due mesi fa e ora, mercoledì 31 ottobre, esce nelle sale con Universal Pictures. Naturalmente fu “un piccolo balzo per l’uomo e un grande passo per l’umanità”, come vuole la celebre frase pronunciata da lassù; e vedrete che l’anno prossimo, per il cinquantennale dell’allunaggio del 20 luglio 1969, fioccheranno celebrazioni e testimonianze, speciali tv e pubblicazioni varie, nonché antologie poetiche legate al culto del suggestivo satellite naturale, da Plutarco a Dante, da Ariosto a Leopardi, solo per dirne alcuni.

Non che sia brutto, “First Man” (Albert Camus non c’entra con il sottotitolo italiano “Il primo uomo”); Chazelle è un regista eclettico e personale, Ryan Gosling è diventato il suo attore feticcio dopo il molto amato/odiato “La La Land”; il film, ricco di effetti speciali e preciso nella ricostruzione, sfodera la giuste dose di eroismo americano senza rinunciare alle strettoie del “fattore umano”. Il tutto incarnato nella figura di Neil Armstrong (1930-2012), appunto il primo essere umano che mise piede sulla Luna, lasciando la celebre impronta, subito raggiunto dal collega Buzz Aldrin, mentre il terzo astronauta, Micheal Collins, restò in orbita a controllare il modulo di comando Columbia che avrebbe riportato tutte e tre sulla Terra.

L’idea del film, tratto da un libro di James R. Hansen, è di resocontare l’impresa spaziale del 1969 partendo dal lontano 1961, naturalmente per mostrare quanto essa sia stata faticosa, funestata da lutti e fallimenti, tecnicamente rischiosa, politicamente osteggiata dai movimenti giovanili perché considerata costosa e “propagandistica”, almeno fino al successo pieno del 20 luglio.

Insomma, se la fine è nota, e giustamente gloriosa, assai accidentato fu invece il viaggio intrapreso dalla Nasa per sconfiggere sul tempo i sovietici in una sorta di sfida anche simbolica tra “astronauti” e “cosmonauti”; e “First Man”, nell’arco di circa 140 minuti, lo racconta senza enfasi, con dettagli pure curiosi, probabilmente poco noti anche agli americani, lasciando che il pubblico si affezioni a Neil Armstrong, interpretato appunto da Ryan Gosling. Un Armstrong laconico e problematico, meno stabile psicologicamente di quanto apparisse alla solida moglie, segnato per sempre dalla morte della figlioletta Karen, quasi incapace di festeggiare l’impresa anche nel clima di trionfo planetario, chiuso in una malinconia fonda che ne fa uno strano e umanissimo “american hero”.

“Questa è una storia che doveva essere articolata tra la Luna e il lavello della cucina, tra l’immensità dello spazio e il tessuto della vita quotidiana” sostiene Chazelle. Tutto vero, “First Man” è trapunto di finezze, di episodi toccanti, anche di silenzi, attraversato da un senso di minaccia costante, quasi a dirci come fu pionieristico, in buona misura senza rete, il volo di Apollo 11 (a partire dalla lettera già preparata dalla Nasa in caso di morte di Armstrong e Aldrin).

Nondimeno sul tema dell’uomo nello spazio io preferisco film come “Uomini veri” di Philip Kaufman o “Apollo 13” di Ron Howard: il primo per lo spessore epico/filosofico della ricostruzione storica, il secondo per la tensione bruciante nel racconto di un fallimento trasformato in successo.

Nel 1972, tre anni dopo il primo passo di Neil Armstrong sulla Luna, la magia lunare era già dissolta. Le tre ultime missioni del programma furono annullate. La Luna andò presto in soffitta. Anche “The First Man – Il primo uomo” non sembra aver entusiasmato il pubblico americano: 38 milioni di dollari al botteghino dopo tre settimane.

Michele Anselmi