Un solo spazio: la suite di un albergo di lusso. Due soli protagonisti: Hal Porterfield, erede dell’impero del defunto padre, e Rebecca, una escort. Una trama che sembra scontata, ma in “Sanctuary – Lui fa il gioco, lei fa le regole”, opera seconda del regista e critico cinematografico Zachary Wigon, i ruoli si mescolano, in quella che è uno scontro di classe e di genere.
Rebecca (Margaret Qualley, già in “C’era una volta a… Hollywood” e protagonista della miniserie “Maid”) è una dominatrice, ma il risvolto carnale-sadomaso non c’è. “Sanctuary – Lui fa il gioco, lei fa le regole” non è un film erotico, è una pellicola thriller-drammatica in cui a farla da padrona è la mente e la fisicità riveste un ruolo secondario: niente corpi nudi, sex toys, vestiti in latex.
La sceneggiatura di Micah Bloomberg procede in un’atmosfera ‘’masochiana’’ più che masochista, alla “Venere in pelliccia”, dove il moderno Gregor è impersonificato da Christopher Abbott (protagonista della serie “Catch-22” e del lungometraggio “James White”), il quale ha bisogno di essere umiliato per raggiungere l’eccitazione. Un gioco di contrasti ed opposti che si scontrano e confondono: dominante e dominato, interiorità ed esteriorità, ricchezza e povertà.
Rebecca, difatti, è una ragazza che si guadagna da vivere escogitando giochi di ruolo – senza contatto fisico – per dei facoltosi clienti, una giovane donna forte e risoluta che ha dovuto imparare a lottare con le proprie forze per sopravvivere. Hal, in antitesi, è il rampollo della ricca famiglia Porterfield proprietaria di centinaia di alberghi di lusso che sembra aspettare che le cose accadono <<una bella mela rossa che svanisce>>.
La relazione tra i due dura da molto, ma Hal è deciso a mettere fine al rapporto; la pellicola avanza tra giochi di potere e una morbosità di sguardo che la rendono nel complesso piacevole (al netto del coraggio di Wigon di proporre tali tematiche in un’unica ambientazione, nella quale è evidente una impostazione teatrale che rievoca il cinema di Roman Polański). Chiusi all’interno di una stanza d’albergo in cui prevale il rosso, tra pareti, piastrelle del bagno, tende e tappeti, i due attori riescono a restituire allo spettatore la complessità e la profondità del loro rapporto.

Giuseppe Annecchino