L’angolo di Michele Anselmi
Era il quinto film italiano in concorso alla Mostra di Venezia 2022, francamente non si capisce bene perché, ce n’erano di migliori da piazzare lì; in ogni caso “Chiara” esce nelle sale con 01-Rai Cinema mercoledì 7 dicembre, alla vigilia della festa per l’Immacolata Concezione. Magari è solo un caso o forse no. D’altro canto Susanna Nicchiarelli è una habitué al Lido. Presenza assicurata a ogni film che fa. Così, a chiudere un’ideale trilogia su figure di donna rimaste storicamente in ombra rispetto ai protagonisti maschili, dopo “Nico” e “Miss Marx” ecco Santa Chiara d’Assisi (1194-1253), nata nella nobile famiglia Offreducci di Favarone, allieva e amica di San Francesco, teorica di una vita all’insegna della povertà assoluta, fondatrice dell’ordine monacale delle Clarisse.
Il film ne fa una sorta di moderna eroina pop, lontana da una certa immaginetta sacra: è ribelle, appassionata, indocile e insieme misericordiosa, capace di compiere miracoli suo malgrado e di sfidare cardinali e pontefici per imporre nuove regole contro la ferrea clausura all’epoca riservata alle monache.
Nell’incipit la vediamo camminare all’alba insieme all’amica Pacifica, neanche diciottenne, ancora vestita da facoltosa ragazza. Deve incontrare Francesco per unirsi a quei frati malvisti dalle gerarchie ecclesiastiche. A piedi nudi, coi capelli tagliati e un saio addosso, Chiara aderisce ai precetti francescani con dedizione assoluta, e presto altre giovani donne, conquistate dal suo esempio, si uniranno a lei e alla comunità di San Damiano. Il tutto si svolge tra 1211 e il 1228, cioè tra la fuga dalla famiglia aristocratica, che pure proverà a rapirla, e l’incontro con papa Gregorio IX, che vorrebbe imporle norme di clausura ormai inaccettabili, ossia lo status di badessa, pur di togliersi la scocciatura.
L’approccio vagamente rosselliniano e la fotografia a luce naturale lasciano subito spazio a una rievocazione di tipo giovanilistico, drammaturgicamente poverella, senza respiro spirituale, “laica” per esibito partito preso, in stile un po’ fricchettone, quasi da musical: infatti si sprecano balletti, cantatine, suggestioni proto-femministe, donne in marcia stile “Quarto Stato”; il tutto, dice la regista, per “riscoprire la dimensione politica, oltre che spirituale, della radicalità, il sogno di una vita in comunità senza gerarchie e meccanismi di potere”.
Parlato in un italiano “volgare” con cadenze umbre, del tipo “Appiccia lo foco e monda li funghi” o “i lupi sono come li cani, hanno paura del tortòre”, il film non mi pare proprio una riuscita, spesso i personaggi sembrano figurine, se non santini (per restare al tema), nonostante l’impegno profuso dagli interpreti nell’opera di reinvenzione: Margherita Mazzucco e Andrea Carpenzano fanno Chiara e Francesco, e poi ci sono Luigi Lo Cascio, Carlotta Natoli, Paola Tiziana Cruciani, Paolo Briguglia…
Se l’ensemble Anonima Frottolisti fornisce musica medioevale intonata al clima generale, la chiave rock cara a Nicchiarelli esplode nell’epilogo: con Chiara che guarda fieramente in macchina azzannando un pezzo di pane, quasi a rivolgersi allo spettatore, mentre parte “Le cose più rare” di Cosmo. Il primo verso dice: “Ci ho provato, lo giuro / ma non riesco a capire / cosa cazzo è successo / mi sembra di affogare”. Vabbè. Il film è giustamente dedicato, non solo per la ricorrenza del nome, a Chiara Frugoni, storica medievalista e studiosa della Chiesa, scomparsa pochi mesi fa.
Michele Anselmi