L’angolo di Michele Anselmi

Sembra impossibile che sia andata così. Invece andò proprio così. Ci volle un referendum, il numero 224, perché le donne svizzere potessero accedere al suffragio universale, insomma votare. Il tutto accadde nel 1971, sì avete letto bene, per l’esattezza il 7 febbraio di quell’anno. E non fu comunque facile. Già nel 1959 le svizzere ci avevano provato, per lo più soccombendo. La seconda volta, mentre il mondo cambiava in ogni senso e Betty Friedan da otto anni aveva scritto “La mistica della femminilità”, andò meglio. Di lì a poco le donne avrebbero eletto, a livello federale, 10 rappresentanti su 200 nel Consiglio nazionale e 1 rappresentante su 46 nel Consiglio degli Stati.
Un bel film di Petra Biondina Volpe, classe 1970, racconta ora quella pagina di storia nella “civilissima” Svizzera, in una chiave di commedia asprigna con ampie dosi di dramma. Il film si chiama “Contro l’ordine divino”, lo si potrà vedere nelle sale a metà aprile distribuito da Merlino, ma intanto oggi lunedì 12 (ore 15) e mercoledì 14 (ore 16.30) il romano cinema Farnese lo presenta a mo’ di anteprima nella versione originale girata in tedesco, naturalmente sottotitolata. Siamo più dalle parte di “We Want Sex” e “Hysteria” che di “Suffragette”, nel senso che si esce rincuorati, perfino divertiti, dalla ricostruzione, che però non addolcisce affatto la cruda realtà dei fatti.
Per rendere più forte il contrasto anacronistico, la regista sceglie di ambientare la storia in una piccola cittadina rurale, circondata dalla neve, non lontana da Zurigo. Lì, immersa in un’atmosfera fortemente maschilista, la giovane madre e sposa Nora sente affiorare dentro di sé il senso di un’ingiustizia insopportabile. Stanca di sbrigare le faccende in casa e di accudire il suocero incattivito, lei sogna un lavoro da segretaria, ma per farlo deve avere il benestare del marito Hans. Il quale, pure avvertendo il peso di leggi insensate da abrogare al più presto, è preso in un meccanismo ancestrale, teme di passare per un uomo senza palle.
Il film, racchiuso nella durata aurea di 96 minuti, procede secondo una formula consolidata ma non banale, sfoderando anche qualche finezza nel ritratto dei personaggi maschili. Insomma, avrete capito: Nora, nell’esecrazione della piccola comunità, decide di ribellarsi, con atti simbolici e pratici capaci di mandare prima in crisi il ménage familiare e poi la fasulla tranquillità del paesino. E intanto, mentre gli ometti minacciano di passare alle maniere forti, donne di ogni età trovano via via la forza di unirsi a lei nello sciopero, dando vita a una “piccola comune” nel ristorante gestito da un’italiana bella, allegra, emancipata.
“Le donne in politica vanno contro l’ordine divino”: a dirlo non è un uomo retrogrado e bigotto, ma un’odiosa e potente zitella che profetizza sventure alla voce “emancipazione femminile”. Il film, attento a dosare aria del tempo e messaggio civile, non si nega nulla, persino una sbuffa seduta di autocoscienza femminile, tenuta da una hippy svedese, sulla scoperta del corpo, anzi della vagina. Ne esce una sequenza interessante, dalla quale Nora emerge a sua volta con una rabbiosa consapevolezza urlata in faccia al marito sgomento: “Ho una tigre tra le gambe e non ho mai avuto un orgasmo”. Tiè!
Tutte brave le precise le attrici, a partire dalla protagonista Marie Leuenberger, una sorta di Alba Rohrwacher bruna e fiera, capace di rendere bene la trasformazione del personaggio. La nostra Marta Zoffoli, che ha imparato a memoria le battute in tedesco e le propone con naturalezza, incarna l’italiana Graziella, la “straniera” che porta un vento di tenera/fragile solidarietà in quel cantone patriarcale. Viene da chiedersi: ma il cinema italiano quando si accorgerà davvero di lei?

Michele Anselmi