L’angolo di Michele Anselmi

Non è sempre facile muoversi nel mare magnum delle proposte sulle piattaforme digitali, a patto di non fermarsi ai titoli più strombazzati. Così, curiosando tra i film appena messi in palinsesto da Sky, mi sono imbattuto in un “Una squadra di 12 orfani”, scritto e diretto dal texano Ty Roberts, risalente al 2021. Il titolo non è proprio esaltante, meglio l’originale “12 Mighty Orphans” (ovvero potenti, favolosi), ma la vicenda narrata è di quelle che non lascia indifferenti, specie se vi piacciono le storie vere di sport e redenzione, in questo caso ambientata nello scorcio finale della Grande Depressione americana degli anni Trenta. Alla base del film c’è un saggio, “Twelve Mighty Orphans: The Inspiring True Story of the Mighty Mites Who Ruled Texas Football” di Jim Dent, certo reinventato per lo schermo e trasformata in una toccante allegoria sul potere dell’educazione scolastica, sul senso di squadra che si crea quando non si ha nulla.
Forth Worth,Texas, 1938: alla Masonic School for Orphans, un orfanotrofio gestito con metodi quasi militareschi, tra sfruttamento minorile e punizioni corporali, arriva con la sua famiglia il professore e allenatore Harvey Nual “Rusty” Russell. Orfano pure lui, eroe della Prima guerra mondiale, già coach di una certa fortuna, l’insegnante sceglie quel posto un po’ dimenticato da Dio perché sente di potersi rendere utile. E così sarà.
Con l’aiuto di un saggio medico ubriacone, Russell ridona fiducia ai maltrattati orfani, li istruisce e insieme li spinge a trovare nel football americano una forma di risarcimento morale. Nascono così i “Mighty Mites”: all’inizio non hanno un campo sul quale allenarsi, neppure scarpe e divise, sono fisicamente gracili rispetto alle altre squadre, divisi al loro interno, oggetto di sabotaggi burocratici; ma i nuovi schemi di gioco inventati dal coach daranno loro una marcia in più, rivoluzionando quello sport. E quando tutto sembrerà crollare, per le manovre abiette di due trafficoni, sarà addirittura il presidente Roosevelt, l’uomo del “New Deal”, a intervenire da Washington per ristabilire la giustizia.
Il film è classico, un po’ squadrato, a tratti retorico, come tante di queste ballate di riscatto ed emancipazione legate allo sport; eppure “Una squadra di 12 orfani” si fa vedere volentieri, non solo per l’accurata ricostruzione d’ambiente, anche per la prova degli attori, sia i più giovani, sia i veterani, tra i quali spiccano, in piccole parti, Martin Sheen, Treat Williams, pure il novantenne Robert Duvall. L’allenatore buono e lungimirante, tormentato da incubi bellici, è Luke Wilson, così diverso da come lo conoscemmo, con completo beige, barba, occhiali neri e fascia da tennista tra i lunghi capelli, all’epoca dei “Tenebaum”.

Michele Anselmi