L’angolo di Michele Anselmi
Ormai saprete come la penso su Fabrice Luchini, francese, classe 1951: lo trovo un attore straordinario e sottile, perfino quando “luchineggia” – e spesso lo fa – per aderire al personaggio che s’è un po’ cucito addosso. Basterebbe vederlo nei panni di sé stesso nella serie “Chiami il mio agente!”. Adesso, da giovedì 9 marzo, lo si può gustare in “Un uomo felice”, di Tristan Séguéla, targato Teodora Film, e vai a sapere chi è “un homme heureux” del titolo originale: il sindaco Jean Leroy o sua moglie Edith/Eddy? Non rivelo nulla di quanto già non sappia chiunque abbia visto il trailer.
Luchini è il primo cittadino conservatore, pure un po’ omofobo e misogino, di Montreuil-sur-Mer, piccolo Comune del dipartimento Pas de Calais. Il suo secondo mandato sta per scadere, ma in Francia si può fare il tris, così Leroy decide di ricandidarsi, benché abbia di fronte un giovane e combattivo avversario progressista. Però gli scoppia un problema non da poco tra le mani: “Sono un uomo e lo sono sempre stato” gli confessa al ristorante la moglie Edith, madre dei suoi tre figli.
Uno scherzo favorito dal whisky? Tutt’altro. La donna ha cominciato in segreto la sua “transizione”, tra botte di ormoni, abiti maschili, baffi finti che diventeranno veri e reggiseni sepolti in giardino.
Gli sceneggiatori Guy Laurent e Isabelle Lazard dicono di essersi ispirati alla storia di un loro amico, deciso a cambiare “genere” e insieme a salvare il matrimonio. Che è un po’ l’impresa, a prima vista impossibile, che mette in commedia questa storia: buffa ma non farsesca, con un tratto doloroso di fondo, anche se nel finale ambientato durante il Carnevale…
Bisognerebbe ascoltare Luchini in francese per apprezzare le infinite sfumature della sua voce: un mix di stupore e incredulità, di vergogna e disprezzo, almeno finché Edith, che ha deciso di essere e di farsi chiamare Eddy, non forzerà la situazione imprimendo un nuovo corso alla campagna elettorale.
Naturalmente si sorride parecchio con “Un uomo felice”, perché gli eventi all’inizio congiurano tutti contro Leroy, il quale, tradizionalista vecchio stampo e allergico ai consigli del suo francesissimo “spin doctor”, fatica a capire quanto sta succedendo in famiglia, salvo poi venire a patti con la novità.
“È quando sono donna che mi sento un travestito” confessa Edith/Eddy, accudita da una piccola comunità di amici/amiche transgender che l’aiutano a trovare il coraggio per attraversare definitivamente il Rubicone. Se Luchini, ormai coi capelli bianchi e sempre più mattatore, sta al gioco incarnando il “destrorso” costretto a rimettersi in gioco, Catherine Frot si diverte a comportarsi da maschiaccio alla Braccio di Ferro, con tanto di barbetta, pipa e cappello da marinaio. E chissà se, alla fine, anche i figli capiranno.
Michele Anselmi