L’angolo di Michele Anselmi
Vi piace Virginie Efira? Sì, la 44enne attrice belga molto apprezzata in Francia e non solo, era in giuria alla scorsa Mostra del cinema di Venezia. Io la trovo magnifica, una che sa maturare bene e non disdegna le sfide audaci, anche sul fronte del nudo e delle scene di sesso. Ma non è questo il caso. Consiglio caldamente di vederla in “Police”, appena arrivato su Sky grazie all’accordo con StudioCanal.
È un film del 2020, non saprei dire se uscito in Italia, scritto e diretto dall’ottima regista lussemburghese Anne Fontaine, di cui qualcuno ricorderà la frizzante commedia sentimentale “Il mio miglior incubo!”. Alla base c’è un romanzo di Hugo Boris, in parte rivisto per lo schermo, almeno sul piano della scansione drammaturgica e dello stile applicato alla storia.
Tre poliziotti parigini, due uomini e una donna. Virginie, appunto Virginie Efira, è in rotta col marito, ha un figlio piccolo e nel frattempo s’è scoperta incinta dopo essersi lasciata andare, in una serata di tenerezza, con il gagliardo collega Aristide, ovvero Omar Sy. Non le resta che abortire. Poi c’è Eric, ossia Grégory Gadebois, che annusa i bicchieri di whisky per non tornare a bere, non sopporta più la moglie berciante e sembra murato vivo in una rabbia che trasporta sul lavoro. E intanto le cose stanno complicandosi in commissariato: turni massacranti, mogli pestate, madri assassine, risse per strada.
Nella prima parte del film Fontaine segue, ad uno ad uno, i tre poliziotti nei loro tormenti personali, tra privati e pubblici; poi, un po’ come succedeva nel “Capitale umano” di Paolo Virzì, il film restituisce di ogni situazione collettiva i tre diversi punti di vista, con piccoli scarti temporali; infine riunisce il terzetto su un furgoncino della Polizia per una missione all’apparenza di routine: trasportare dal carcere all’aeroporto un “profugo” da rispedire nel natio Tagikistan. Ma l’uomo è smagrito, spaventato, inerme (bravo l’attore iraniano Peyman Mooadi di “Una separazione”), non parla una parola di francese e inglese, e soprattutto Virginie scopre una cosa: appena rimetterà piede in patria sarà di nuovo torturato e alla fine ucciso.
“Police” è un film a strati, desolato e realistico, fotografato a luce naturale, non una novità per il cinema francese (quanti ne abbiamo visti di sbirri così, scorticati e furenti?). Ma colpisce l’uso che Fontaine fa dei tre attori, due dei quali, Efira e Sy, sono certamente delle star nazionali. Li spoglia di un certo glamour passato, dei loro cliché recitativi, insomma li rende “normali”, credibili, mettendoli al servizio della vicenda, anzi del dilemma morale che i tre dovranno risolvere in viaggio verso l’aeroporto.
Temo che in Italia nessun regista, donna o uomo, sarebbe in grado di rovesciare come un calzino l’immagine di un’attrice avvenente nota per aver interpretato ruoli brillanti e sexy (in questo caso Virginie Efira). Un eccesso di trucco e parrucco, di abiti inverosimili, di case irreali grava sempre sul nostro cinema, anche quando prova a raccontare una cruda realtà.
Michele Anselmi