L’angolo di Michele Anselmi
“Siamo tutti Alberto Sordi?” chiede il titolo del docu-film di Fabrizio Corallo. Verrebbe da dire di no, senza nulla togliere al talento unico, straordinario, dell’attore romano scomparso il 25 febbraio 2003, quasi tredici anni fa. Nell’avvicinarsi del 15 giugno 2020 si intensificano le iniziative in ricordo di Sordi nel centennale della nascita: libri, rassegne, un museo permanente nella villa di via Druso, una fiction Rai con Edoardo Pesce, due documentari, uno dei quali è questo pensato e diretto da Corallo. Anteprima domani sera, lunedì 17 febbraio, ore 20.30, al Teatro Argentina, con Walter Veltroni a fare gli onori di casa; poi lo si potrà vedere il 12 aprile su Sky Arte e il 10 giugno su La7. Producono Dean Film e Surf Film insieme all’Istituto Luce-Cinecittà, più collaborazioni varie.
Giustamente la domandina iniziale resta un po’ sullo sfondo, a fare da “strillo” accattivante, perché il documentario prende subito un’altra piega, diciamo meno sociologica, più intonata al ritratto, per nulla banale o scontato, del comico considerato il più fedele specchio di un certo spirito nazionale. Gli aggettivi che si usano a proposito delle sue “maschere” sono un po’ sempre gli stessi: infingardo, scaltro, cialtrone, cinico, pusillanime, tronfio, ignavo, profittatore; ma anche tenero, eroico, perdente, spiazzato, eccetera. Di qui l’altra domanda che scatta: “Sordi era come i suoi personaggi o, interpretandoli, li criticava?”.
Vai a saperlo. Il tema è stato sviscerato a lungo, e certo molti degli intervistati, tra i quali Renzo Arbore, Pierfrancesco Favino, Michele Serra, Carlo e Luca Verdone, Marco Risi, Goffredo Fofi, Valerio Caprara, Paolo Mieli, Gloria Satta, Gigliola Scola, naturalmente Veltroni, tornano sulla questione sollevata dal titolo. Addirittura Pietrangelo Buttafuoco, citando un’efficace battuta di Giovanni Guareschi, definisce Sordi “la rappresentazione vivente della diffamazione”. S’intende la diffamazione arguta e realistica di un diffuso spirito nazionale.
Corallo è un giornalista assai noto nell’ambiente del cinema, ma anche un documentarista sensibile: basterebbe aver visto il suo “Gassman sono io! Vittorio re della commedia”. Con Sordi, il regista compie un’operazione simile, nel senso della discrezione e della “giusta distanza”. Di solito questi ritratti, specie se legati ad anniversari, finiscono con l’essere agiografici, commemorativi, solo luci senza ombre.
“Siamo tutti Alberto Sordi?”, nell’arco di 90 minuti, sa invece intrecciare, senza piaggerie, biografia, spezzoni di film, immagini inedite, piccole rivelazioni, dettagli inconsueti, valutazioni estetiche e pareri sull’uomo. Già, l’uomo Sordi: così diverso nella dimensione privata da come appariva in pubblico, specie, apprendiamo, dopo la morte dell’amatissima sorella Savina avvenuta nel 1972; quando quella sontuosa villa, abitata durante il Ventennio da Dino Grandi e strappata per un soffio nel 1958 all’amico Vittorio De Sica (Sordi fu più veloce a pagare), si chiuse alle feste, alle cene, alle proiezioni e agli spettacoli.
“Dico sempre: tutto bene, tutto bene. La tristezza la tengo per me” teorizzava Sordi, pensando che allo spettatore nulla interessasse del suo umore, delle sue mestizie, una volta tornato a casa. Anche nella sua ultima apparizione, un video-messaggio spedito alla platea dell’Ambra Jovinelli che l’aspettava per un premio, Sordi in vestaglia parla di “un’indisposizione” che lo trattiene su una sedia, e verrebbe quasi da credergli se non chiudesse con la parola “addio”.
Ecco, il film di Corallo ha il pregio di muoversi con garbo su vari piani, dicendo bene quel che in buona misura già sappiamo attorno all’esuberante chiave artistica di Sordi, e anche qualcosa di più intimo e contraddittorio (le donne, le manie, i soldi). Anch’io conservo divertenti ricordi personali, e spesso mi ritrovo a raccontarli agli amici a cena suscitando qualche sorriso; ma Corallo, opportunamente, si sottrae all’aneddotica colorita, alla confessione birichina per mettere a fuoco un’immagine affettuosa e tuttavia non convenzionale. Del resto, come indica Verdone, c’era in Sordi, specie all’inizio, una trasgressiva vena “futurista”, vai a sapere quanto consapevole.
Michele Anselmi