L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per “Cinemonitor”
Il 13 febbraio scorso s’è tolto la vita, impiccandosi dentro la sua azienda, l’imprenditore padovano Giorgio Zanardi, 74 anni. Un editore molto stimato dalle sua parti, ma gravato dai debiti, dall’ombra lunga del fallimento, dopo aver dovuto “restringere” le attività, passando da 300 a 110 dipendenti, molti dei quali messi in cassa integrazione. E martedì 18 a Roma tanti rappresentanti di piccole e medie aziende, insieme a commercianti e artigiani, si sono riuniti in piazza del Popolo per gridare al nascente governo Renzi: «Senza impresa non c’è Italia».
Due fatti che sembrano dare forza a quanto il 27enne regista campano Giovanni Mazzitelli denuncia in “Solving”, il curioso film-documentario da giovedì 20 nelle sale, che racconta la crisi economica partendo dai suicidi di tanti piccoli imprenditori travolti dal dissesto, incapaci di andare avanti, decisi a farla finita nel modo più tragico: spesso per vergogna, per senso di fallimento. La parolina del titolo, “Solving”, in genere è accoppiata al sostantivo “Problem”: locuzione inglese che sta per “risoluzione di un problema”. Molti di questi piccoli imprenditori non hanno trovato la soluzione, così l’hanno fatto finita: sparandosi, impiccandosi, buttandosi nel vuoto, addirittura bruciandosi, come Giuseppe Campaniello, datosi letteralmente fuoco il 28 marzo 2012 davanti all’agenzia delle entrate di Bologna. La stessa agenzia che ha spedito alla moglie del suicida, Tiziana Marrone, una cartella Equitalia di oltre 60mila euro, un cumulo di Irpef, Iva, addizionali regionali e imposte sulle attività produttive che ha “ereditato” in virtù della comunione dei beni con il marito. La signora, a ciglio asciutto, rievoca in “Solving” le ultime ore del marito: «È stato bravo a nascondermi tutto. “Lei non deve sapere” disse Giuseppe al vigile che cercava di dissuaderlo dal commettere quel gesto».
Una parte degli incassi di “Solving”, se ci saranno, andranno a Tiziana Marrone. Così ha deciso Salvatore Mignano, l’imprenditore napoletano self-made man, ex operaio dell’Alfa Sud, che incarna, pedinato per due anni dalla telecamera del regista, l’altra faccia della tragedia, quella finita bene (per ora): attraverso la sfida dell’audiovisivo, tra cinema, tv e musica, Mignano ha superato la crisi del settore energetico nel quale si era fatto le ossa creando una florida azienda familiare. «Ringrazio Mignano per la generosità, ma la mia speranza più grande è che qualcuno mi offra un posto di lavoro» ha fatto sapere la signora Tiziana. Magari, appena formato il governo e ricevuta la fiducia, il giovane Renzi farebbe bene a farsi mandare una copia del dvd a Palazzo Chigi.
Avrete capito che le due storie vere si intersecano in “Solving”, non solo in una chiave di bilanciamento emotivo, per la serie “si può fare”, anche se certo la vicenda umana e professionale di Mignano offre un messaggio di speranza possibile. Spiega l’interessato: «Nel film sono un simbolo, ma avrebbe potuto esserlo qualsiasi altro imprenditore. Il regista che mi ha seguito, ha valutato come buono il materiale raccolto, quindi non c’era bisogno di far interpretare la storia da altri». E quindi? «In “Solving” nessuno interpreta alcun ruolo, se non quello della propria vita, io sono un imprenditore, mia figlia si occupa dell’amministrazione, un’altra delle vendite e così via dicendo».
Tuttavia il “protagonista” ha la forza di un personaggio e la complessità di una persona in carne ed ossa, sicché lo spettatore si chiede sin dal primo momento quanto la sua stoica capacità di affrontare le infinite difficoltà che affronta facciano parte della vita reale o solo del film di cui abita quasi ogni scena. Poi ci sono le interviste, a giornalisti come Franco Di Mare, a sociologi come Francesco Alberoni. Quest’ultimo, citando un passo della “Filosofia dello Spirito” di Hegel ripreso anche da Sartre, ricorda: «Se noi abbiamo valore è perché sono gli altri a darci valore». In effetti, magari non sempre, è così.
Michele Anselmi