L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor

Due mesi e dieci giorni dopo la nomina a presidente dell’Anica, un po’ la Confindustria del cinema, Francesco Rutelli incontra finalmente i giornalisti. «So abbastanza di cosa si parla» scandisce nella sala delle riunioni, quasi a mostrare di aver fatto i compiti, insomma di aver studiato la pratica. La scelta destò qualche perplessità nell’ambiente, per la serie: ancora un politico alla testa di un’associazione professionale? Prima Marco Follini a capo dell’Apt (produttori televisivi), adesso Rutelli alla testa dell’Anica. Ma lui, l’ex sindaco di Roma, l’ex presidente del Copasir, l’ex ministro ai Beni culturali, non si scompone: «La scelta di una persona che non fa cinema, quindi neutrale rispetto agli interessi economici in campo, ha senso. Sono un presidente al di sopra della mischia… diciamo di lato». E cita con un sorriso l’ex senatore americano Christopher J. Dodd che guida la Mpaa, ossia la potente organizzazione delle major hollywoodiane.
Concordano i produttori Francesca Cima e Angelo Barbagallo, seduti accanto al presidente “piacione” ed essi stessi tessitori della soluzione trovata dopo che Riccardo Tozzi, titolare di Cattleya, aveva dato le dimissioni dal ruolo istituzionale. Pare che il conflitto di interessi si fosse fatto piuttosto ingombrante all’Anica, così assicura Barbagallo, di qui la decisione di ingaggiare Rutelli per tre anni.
Non tutti sanno però che Rutelli è alle prese con gli ultimi due, impegnativi, esami necessari a ottenere la laurea in Architettura. «È bello poter riprendere qualcosa di incompiuto, volevo tornare a studiare a livello scientifico materie di cui mi sono occupato politicamente» disse il 24 settembre scorso a Luca Mastrantonio del “Corriere della Sera”. Il 62enne neopresidente dell’Anica passerà le vacanze di Natale a studiare sodo, in modo da laurearsi, se tutto andrà bene, a fine gennaio o ai primi di febbraio.
Si vede, però, che il cinema gli piace. Piace a molti che vengono dalla politica attiva, del resto. Per accettare la nomina Rutelli avrebbe posto poche condizioni, soprattutto una: che fossero tutti d’accordo, insomma all’unanimità. Ottenuta l’investitura, ha rinfrescato il suo studio all’Anica, definito spiritosamente «alla professor Guido Tersilli», il medico della mutua e poi barone delle cliniche interpretato al cinema da Alberto Sordi, con qualche quadro di pregio, un disegno donatogli da Fellini e alcune fotografie in bianco e nero che lo ritraggono da giovane. Con l’età Rutelli e Sordi si assomigliano sempre di più, l’hanno notato in tanti.
Quanto alla sostanza delle cose, il presidente conta di poter essere utile proprio perché «rappresento un soggetto terzo, non uno dei mondi in causa». Premette: «Stiamo lavorando senza tabù, su ogni materia. Ma certo sarebbe un errore non cogliere la portata epocale rappresentata dalla nuova legge per il cinema proposta dal ministro Dario Franceschini e votata dal Parlamento». Se le risorse sono abbastanza certe, circa 400 milioni all’anno per il sistema audiovisivo, molte perplessità destano i decreti attuativi che il Mibact è chiamato a elaborare. Rutelli è ottimista: parla di cornice legislativa solida all’interno della quale i singoli provvedimenti possono anche cambiare strada facendo nel caso si rivelassero inefficaci o imprecisi. Traduzione: fidatevi di me, mi farò valere presso i referenti politici.
Certo i dati del 2016 (1° gennaio-11 dicembre) non sono proprio incoraggianti. Dicono: 97.8 milioni di biglietti venduti per un incasso totale di 115 milioni di euro. La quota di mercato italiana è al 28.8 per cento, e di sicuro buona parte del merito va ascritta ai 65 milioni di euro totalizzati da “Quo vado?”. «Attenti però: Checco Zalone non è un’astronave o un’eccezione, fa parte a tutti gli effetti del cinema italiano» sostiene Rutelli, il quale pensa positivo e si impegna a difendere il cinema al cinema, cioè in sala. Nondimeno, i guai non mancano. Bisogna ripensare le “finestre”, cioè il tempo tra l’uscita in sala di un film e il suo sfruttamento su altre piattaforme, contrastare la pirateria in rete, valutare l’efficacia del secondo mercoledì del mese a 2 euro o dei “Cinema Days”, soprattutto provare ad allungare la stagione.
«Scopro l’acqua calda, ma non possiamo più avere un cinema che funziona solo otto mesi all’anno. Serve una rivoluzione anche culturale, dobbiamo rivedere le nostre inveterate abitudini» avverte Rutelli. Suona come il solito “mantra”, non sarà facile invertire la tendenza. Anche perché molti dei produttori lesti ad esecrare l’italico costume di disertare il cinema d’estate sono gli stessi che mai e poi mai farebbero uscire i loro film a maggio, giugno e luglio.

Michele Anselmi