L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per “il Secolo XIX”

Clint Eastwood va alla guerra e fa il pieno di pubblico. Secondo negli incassi solo a “Si accettano miracoli” del comico napoletano Alessandro Siani, “American Sniper” sta polverizzando ogni record. Mentre in patria, dove è uscito il 2 gennaio, deve accontentarsi del 18° posto, da noi la storia vera del cecchino Chris Kyle, micidiale sicario dei Navy Seals impegnato a più riprese in Iraq, ha totalizzato in sei giorni la bellezza di 7 milioni e 880 mila euro. Qualche dato di raffronto? Nel 2009 “Gran Torino” impiegò un mese e mezzo per arrivare a 9 milioni e 100 mila euro; il successivo “Hereafter” si fermò a 7 milioni e 781 mila; “J. Edgar” lambì a stento i 6 milioni; “Jersey Boys”, nel 2013, non superò gli 800 mila, una miseria.
Neanche alla Warner Bros si aspettavano un risultato così rilevante, sorprendente. D’accordo: Eastwood, 85 anni a maggio, può contare su uno zoccolo duro di spettatori nella vecchia Europa. Archiviato il progetto di un remake di “Eva contro Eva”, l’iconico attore-regista ha saputo far dimenticare la figuraccia legata a quella sua comparsata pro-Mitt Romney, era il 2012, nella giornata finale della Convention repubblicana. Persino “il manifesto”, che di Eastwood è una sorta di organo ufficiale, ammise di fronte allo sketch su Obama e la sedia vuota: «Un inguardabile balbettio senza capo né coda». Negli Stati Uniti, l’artista è visto come un padre nobile da rispettare, ma i suoi film incassano poco o niente, con l’eccezione appunto di “Gran Torino”; mentre l’Italia continua a seguirlo con notevole affetto. E non perché si fece conoscere ai tempi di “Per un pugno di dollari”, quando Sergio Leone, pensando d’esser spiritoso, si divertì teorizzare che Eastwood possedeva solo due espressioni: con cappello e senza cappello. Una scemenza.

Solo che “American Sniper” è un film di guerra, su un barbuto cecchino texano cresciuto col fucile in mano, per quanto tormentato dai fantasmi una volta tornato a casa dopo quattro turni al fronte. Per alcuni critici, gonfio di retorica, di patriottismo, con troppe bandiere al vento e poche . Non caso, Paolo Mereghetti, sul “Corriere della Sera”, ha conferito appena due stellette, scrivendo: «Stupisce che Eastwood, ormai arrivato alla maturità e alla saggezza degli anni, si sia lasciato tentare dalla vicenda di Chris Kyle. Stupisce perché quel chiaroscuro che aveva raccontato così bene in molti film, e non solo di ambiente militare, quell’intreccio di doveri e responsabilità, vitalismo e dubbi che facevano la forza (e il fascino) dei suoi personaggi, qui spariscono o vengono ingabbiati dentro troppo facili e schematiche opposizioni». Insomma, in tema di guerra, sarebbe ben più profondo il dittico “Flags of Our Fathers”-“Letters from Iwo Jima”, e perfino il vecchio “Gunny” avrebbe più sfumature.
Sarà proprio così? Il problema non è tanto stabilire se Eastwood, invecchiando e smessi i panni dell’anarchico umanista che tanto piace a sinistra, sia tornato ad essere un repubblicano doc, magari pure “guer­ra­fon­daio” e “fasci­sta”, come qualcuno ha scritto. I film sui tiratori scelti, che siano “Il sergente York”, “Il nemico alle porte” o “Shooter”, custodiscono per forza di cose una certa vena agiografica, tra solitudine esistenziale e perizia omicida, scrupolo morale e determinazione patriottica. E del resto l’american sniper incarnato da Bradley Cooper non è mica, per dirla con Mattia Ferraresi del “Foglio”, «un remoto tiratore nell’iperuranio della guerra, un drone umano che opera nelle alture urbane, bensì uno che si immerge nella mischia della guerriglia, sperimenta la polvere, le porte sfondate, le perquisizioni, gli interrogatori, la raccolta di informazioni, gli esplosivi nascosti sotto il manto stradale, le imboscate». Insomma, lo spazio della narrazione non si esaurisce dietro al fucile.
Anche per questo, probabilmente, il film piace tanto al pubblico italiano. Di destra e di sinistra. Intreccia adrenalina e tormento, ricordandoci che in un mondo di pecore e lupi i cani pastore servono, eccome. La controprova? Mercoledì, di fronte all’atroce blitz islamista contro il giornale satirico “Charlie Hebdo”, una giornalista solitamente filo-palestinese, mai tenera con gli yankee, s’è lasciata sfuggire al telefono la seguente frase: «Forse ci vorrebbe un american sniper, come quello di Eastwood». Forse.

Michele Anselmi