L’angolo di Michele Anselmi
Altro che lo svanito, rallentato, Santa Claus incarnato da Diego Abatantuono in “10 giorni con Babbo Natale” di Alessandro Genovesi. Su Sky, tra le strenne sotto l’albero, c’è “Fatman”, il film dei fratelli Ian ed Eshom Nelms costruito addosso a un Babbo Natale in declino, anche pessimista sulle sorti del genere umano, ma con la faccia sempre grintosa di Mel Gibson. Si fa chiamare Chris Cringle, abita con la moglie nera Ruth in una fattoria, da qualche parte su in Canada, a un passo da un paesino tra le nevi dove tutti gli vogliono bene e lui continua a mandare avanti la sua “fabbrica” di giocattoli gestita con un piccolo esercito di gnomi. Tutto sommato ci sta.
Sebbene in tanti lo detestino, accusandolo di essere un fondamentalista cristiano o qualcosa del genere, continuo a pensare che Mel Gibson sia un ottimo attore e un bravo regista. Certo, Hollywood ormai lo tratta come uno da cui stare alla larga, sicché eccolo in questo bizzarro e poco costoso film per adolescenti, con barbone d’ordinanza, camicia di flanella a scacchi, scarponi da neve e giaccone da “farmer”. All’inizio lo vediamo esercitarsi con la sua Colt 45 automatica su delle lattine messe sulla staccionata, per tenersi in forma con la mira. Del resto la vita di Santa Claus s’è fatta dura: gli sparano quando passa di notte con la slitta (torna a casa con un buco nel fianco), i bambini si sono fatti cattivi e non meritano regali, l’azienda è in crisi, difficile pagare le bollette, c’è il rischio di chiudere il Natale. Sicché, obtorto collo, il “ciccione” firma un contratto con la Difesa per diversificare la produzione in attesa di tempi migliori.
Non bastasse c’è un killer feroce, maniaco e implacabile, interpretato dal Walton Goggins di “Justified”, che lo cerca per ucciderlo su mandato di un ragazzino molto arrabbiato, abituato a primeggiare in tutto senza meritarlo: Billy Wenon ha ricevuto un pezzo di carbone al posto del dono richiesto e adesso vuole, letteralmente, la testa di Babbo Natale.
“Forse è tempo di appendere la giubba rossa al chiodo” sospira alla moglie paziente, che sbaglia pure le misure della coperta fatta all’uncinetto, il vecchio e moralista Santa Claus, anche se non dovete pensare al costume classico e iconografico (la giacca è di pelle lisa con dentro il pelo). Poi c’è l’alcol che non aiuta: “fatman” sbevazza, per lenire i problemi di bollette e d’identità.
Ho la sensazione che il film, a suo modo un “Racconto di Natale”, si rivolga ai più grandicelli, anche perché una certa crudeltà attraversa la caccia all’uomo, anzi al simbolo, tra esecuzioni, sparatorie, sangue in quantità, lame affilate, occhi bucati. Tuttavia, una volta accettato il tono vagamente iconoclasta, un po’ da “graphic novel”, si arriva volentieri al finale, s’intende scombinato come tutto il film, ma riscaldato da un messaggio di speranza, di pietà, di possibile ricostruzione della Leggenda.
Michele Anselmi