“Sto pensando di finirla qui” è anche la frase che la protagonista del film Netflix – diretto da Charlie Kaufman e tratto dall’omonimo romanzo di Iain Reid – continua a ripetersi rassegnata. Ci troviamo, sin dall’inizio, di fronte ad una di quelle pellicole enigmatiche, non pienamente comprensibili e deliberatamente caotiche. Lo spettatore è disorientato, e a questo è associabile la confusione emotiva e mentale di Lucy, la protagonista, il cui flusso di coscienza diviene la nostra voce narrante, la nostra guida principale nel labirinto della trama. Ma Lucy è una ragazza smarrita, e noi non potremo che smarrirci assieme a lei. Metafora della mancanza di punti di riferimento nel film è una violenta tormenta di neve che tutto copre e nasconde. Non ci sono strade, segnali o indicazioni. Pochi nel film gli elementi stabili, se non del tutto assenti: ogni cosa viene continuamente modificata, persino i tratti somatici dei protagonisti, il loro nome e i loro vestiti, cambiano da una scena all’altra senza un apparente motivo logico. Non c’è niente di certo e di riconoscibile a cui lo spettatore può fare affidamento.
Lucy e Jake escono insieme da sei o sette settimane quando la ragazza accetta, non pienamente convinta, di compiere un viaggio insieme per andare a conoscere i genitori di lui nella fattoria di famiglia. Tutto il film sarà principalmente incentrato su questo evento; l’attenzione però verrà focalizzata non tanto sul fatto in sé, quanto sui risvolti emotivi che questo avrà nell’interiorità dei personaggi, partendo dai loro vissuti relazionali passati, attraversando i loro pensieri, fino ad arrivare ai loro sogni futuri. Cade la neve al momento della loro partenza. “L’inverno sta arrivando” preannuncia Jake, profetico forse di qualcos’altro. La neve si fa via via più fitta con l’avanzare della trama, fino a trasformarsi in una vera e propria tormenta e al punto da diventare uno degli elementi più importanti e allegorici di tutto il film. Ad intervallare l’andamento del viaggio e della successiva cena sono i brevi momenti in cui l’attenzione è focalizzata sulla vita di un uomo anziano, bidello di un liceo, solo apparentemente estraneo alla storia dei due protagonisti.
Dialoghi frammentati e sovrapposti, il tempo cronologico e narratologico spezzato e ricomposto lontano dalle nostre logiche temporali, l’intimità dei protagonisti sviscerata e presentata senza filtri, “Sto pensando di finirla qui” è un film scomodo, volto a ricreare nello spettatore il disagio esistenziale dei personaggi che racconta. E ci riesce bene, non soltanto per la narrazione degli eventi che si susseguono: il nostro atto di riuscire a seguire la storia è compromesso. Lo spettatore perde la propria capacità di giudizio e di attenzione totale, amplificando così il disagio evocato dal film nel suo complesso, dalla scelta fotografica e musicale, fino alla storia e agli eventi.
Chiara Fedeli