Stockholm Ostra | Lutto a Stoccolma Est

Nella vita si può sopravvivere a tutto. Anzi no. O forse sì. E’ intorno a questo frase sentenza a doppio esito che ruota Stockholm Ostra (Stockholm East) di Simon Kaijser da Silva, regista svedese alla sua prima prova cinematografica, ma già temprato da una buona gavetta televisiva nel campo delle series. La sua pellicola ha aperto la Settimana della Critica di Venezia 68.
 
Una mattina Johan investe e uccide con la macchina la piccola figlia di Anna. Il dolore per la donna è un macigno sull’anima. Ma dopo il Caso è il Fato a bussare alla sua porta: inconsapevolmente inizia una relazione sentimentale proprio con Johan, un feeling fatto di menzogne e rivelazioni che condurranno i due verso eventi inaspettati.
 
Pur con alcune evidenti sbavature, siamo senza dubbio di fronte ad una buona opera prima. Molteplici i fattori positivi. In primis la performance, che definirei sopraffina, dei due attori protagonisti: Mikael Persbrandt (In un mondo migliore) e Iben Hjejle. Il primo conserva l’espressivo volto (di bronzo) già adoperato nel film di Susanne Bier, la seconda è estremamente realistica dietro una faccia scarna consumata dal dolore. A questo s’aggiunge una fotografia lucida e curata, brillante e incisiva, che fascia uniformemente ogni sequenza. Ma anche le tematiche del Caso, del Fato e dell’Amore si mischiano con fluidità ai ripetuti colpi di scena e indizi depistanti e misteriosi nei quali cade lo spettatore sin dall’inizio.
Ma all’apparizione dei titoli di coda percepiamo che qualcosa non va, ovvero manca uno scavo psicologico dei personaggi consono alla vicenda. Il regista non riesce a mettere davvero a fuoco le motivazioni che spingono l’una nelle braccia dell’altro. Il peccato commesso è grave, ma perdonabile proprio in virtù della gran bella sceneggiatura.
Insomma, Stockholm Ostra è una ciambella che non esce con il buco, ma non è nemmeno propriamente un bombolone. Quantomeno la crema e lo zucchero non mancano. La pellicola si gusta con piacere, sazia, e ci ricorda come il cinema svedese sia vivo e vitale.
 
Tommaso Tronconi