Questa non è una classica storia di mafia. Dimenticate l’azione, le sparatorie, i protagonisti maschili al centro della scena. “The Good Mothers” ci offre una prospettiva inedita sulla ‘ndrangheta calabrese. La serie, disponibile alla visione sulla piattaforma Disney+, ha vinto la prima edizione del Berlinale Series Award al Festival di Berlino 2023. Basata su una storia vera, le vicende di un gruppo di donne testimoni di giustizia, ci racconta la ‘ndrangheta dal punto di vista femminile, attraverso lo sguardo di donne che in quel mondo sono nate, ma del quale non vogliono fare più parte. Si inizia quindi con Lea Garofalo (Micaela Ramazzotti), che sta viaggiando in direzione Milano con sua figlia adolescente Denise (Gaia Girace) per vedere il suo ex compagno, il boss Carlo Cosco (Francesco Colella). Lea, che è stata anni prima testimone di giustizia, è spaventata dall’incontro, ma decisa nel farlo, poiché si tratta di discutere della loro Denise. Purtroppo l’appuntamento finisce nel peggiore dei modi e Lea esce di scena. Denise viene così presa in custodia dal padre e riportata nel loro paese d’origine in Calabria, nel mondo della ‘ndrangheta a cui non vuole appartenere. Il suo sguardo è esterno, disgustato, ma è difficile scappare illesa da quella realtà. Alla sua storia si alterna quella di un’altra donna, Giuseppina Pesce (Valentina Bellè). Appartiene ad una famiglia importante, collabora ai loro affari, sembra integrata nel sistema, ma è sempre un passo indietro rispetto agli uomini. Il suo percorso nel diventare testimone è il più sofferto, perché divisa tra ciò che è meglio per sé stessa e ciò che è meglio per i propri figli. Infine, la storia di Concetta Cacciola (Simona Distefano), moglie di un ‘ndranghetista in carcere. Viene tenuta segregata in casa dalla propria famiglia, con un padre che le alza le mani al minimo pretesto. Gli occhi di Concetta sono quelli di chi sogna la libertà, di vivere una storia d’amore, ma anche per lei è difficile sfuggire al suo destino. Lea, Denise, Giuseppina e Concetta, quattro prospettive diverse sulla stessa realtà. Realtà in cui gli uomini sono solo dei personaggi secondari, quasi sempre negativi, abusanti nei loro confronti. La narrazione è lenta, c’è poca azione, anche i toni della fotografia sono morbidi e desaturati, come a sottolineare la distanza rispetto alle rappresentazioni della mafia più mainstream. Il racconto è più emotivo ed empatico: queste donne sono psicologicamente complesse, combattute, divise tra i propri affetti e la denuncia dei crimini commessi dai propri famigliari. I dialoghi sono per la maggior parte in calabrese, e qui c’è da sottolineare l’ottimo lavoro di alcuni attori che non vengono dalla Calabria (la Bellè, in particolare, è Veneta). Un racconto necessario, emozionante, che riporta alla memoria collettiva queste storie di donne e madri coraggiose, capaci di ribellarsi anche al prezzo della loro vita. “The Good Mothers”, le brave madri dunque, che fanno la cosa giusta per i propri figli, contro tutto e tutti.

Martina Genovese