L’angolo di Michele Anselmi
«Io ho quasi tutto / la dignità e l’onore / e non mancano i Bravo!» recita un ironico verso della canzoncina che accompagna la sigla di “Servant of the People”, la profetica serie tv interpretata e prodotta dal 2015 in poi da Volodymyr Zelensky, allora solo comico affermato e quattro anni dopo presidente dell’Ucraina a tutti gli effetti con il 73 per cento dei suffragi. Acquistata in esclusiva per l’Italia da La7, la fiction è partita stasera, lunedì 4 aprile, con le sue prime tre puntate (immagino che non siano stati presi tutti i 51 episodi, per complessive tre stagioni), all’interno di uno speciale condotto da Andrea Purgatori.
Saprete già tutto o quasi: Zelensky incarna un professore di liceo, tal Vasily Petrovyč Goloboroďko, bassetto e sulla trentina, sempre in bicicletta, fissato con Plutarco e ancora a casa dai suoi, che vince inaspettatamente le elezioni per la presidenza del suo Paese grazie a un video virale girato di nascosto da uno dei suoi studenti nel quale inveiva in modi coloriti contro la corruzione dilagante e le logiche oligarchiche. Per la serie: «Se ci sono due merde da votare, noi ucraini sceglieremo la meno peggio, succede da venticinque anni».
Prime impressioni? Tutto succede un po’ troppo in fretta, dopo dieci minuti il prof è già presidente nella sorpresa dei big mondiali, da Obama alla Merkel, e naturalmente la vestizione (profumi, orologi, scarpe, cravatte, abiti, pure una battuta su Putin) è il supposto punto forte della prima puntata in bilico tra presente e flashback. Mi pare inoltre che la voce del comico Luca Bizzarri, chiamato a doppiare Zelensky, non si addica granché a quel volto, non solo per una questione di sync. Magari ci faccio caso solo io, e tuttavia proprio oggi il presidente ucraino ha visitato col giubbetto antiproiettile addosso il villaggio di Bucha, oggetto di una bieca carneficina commessa dai soldati russi prima di ritirarsi, così almeno sembrerebbe, sicché non ci vuole molto a confrontare i due timbri di voce, lo stile oratorio, l’espressività del viso e del corpo. Si dirà: nel 2015 Zelensky era solo un attore comico, una specie di Mr. Bean immerso in una un clima da “soap”, oggi è acclamato in tutto il mondo, o quasi, come una sorta di eroe spartano, e si sa che il ruolo istituzionale, specie nei momenti di tragedia nazionale, molto contribuisce a fare l’uomo.
Incuriosisce che Netflix renda oggi disponibile “Servant of the People” solo negli Stati Uniti, chissà cosa c’è dietro la scelta “geopolitica” della piattaforma digitale; ma almeno lì, su Netflix, avremmo potuto vedere la serie in lingua originale con i sottotitoli, senza l’asfissiante pubblicità messa insieme dalla tv di Urbano Cairo per l’occasione.
Quanto alla vicenda, mi pare un classico dello spettacolo. L’uomo qualunque, senza particolari pregi se non una sincerità disarmante favorita dal caso, che si ritrova protagonista di una storia più grande di lui finendo col crederci. Accadeva in “Dave – Presidente per un giorno” di Ivan Reitman, 1993, dove Kevin Kline, nei panni del titolare di un ufficio di collocamento, sostituisce per qualche settimana l’uomo della Casa Bianca, uguale a lui come una goccia d’acqua ma colpito da coccolone durante avventura adulterina, via via prendendoci gusto e rovesciando la politica degli Stati Uniti; in qualche misura succede anche in “Benvenuto Presidente!” di Riccardo Milani, 2013, dove Claudio Bisio, precario di biblioteca in un paesino di montagna, arriva al Quirinale a causa del mancato accordo tra i partiti e si dimostra tutt’altro che docile al volere dei potenti.
Del resto, senza scomodare Ronald Reagan che da tempo aveva smesso di recitare prima di conquistare la Casa Bianca, pure Arnold Schwarzenegger trasferì la propria immagine di manesco eroe del grande schermo, peraltro austriaco di nascita, nel lavoro di governatore della California, alla fine piacendo un po’ anche ai democratici. Oggi “Schwarzy”, che al cinema fu il sovietico poliziotto Ivan Danko, è uno dei più decisi e calorosi estimatori di Zelensky, il “servitore del popolo” che non si piega a Putin: tutto torna o quasi.
Michele Anselmi