Nebbia, cielo grigio e rumore di passi. L’inquadratura cattura una donna di spalle che cammina di cui, solo al minuto 1:30, riusciremo a scorgere il volto. Passi, rumore delle macchine, il suono di un pianoforte, porte che si aprono e si chiudono, acqua che scorre e il rumore delle stoviglie da sistemare. Il corpo della donna cade improvvisamente a terra, dopodiché il buio. Flashback, si torna indietro di un anno.
La serie tv turca “Ethos”, originale Netflix disponibile dal 12 novembre sulla piattaforma, si apre così, sarà necessario il minuto 5:30 per poter assistere al primo dialogo e per ascoltare la voce di Meryem, protagonista della serie. Nonostante il salto temporale di un anno la ragazza si presenta con un elemento familiare: un’hijab colorato che incornicia il suo volto e i suoi occhi chiari color del mare. Quel velo è sinonimo di una tradizione che appartiene alla sua cultura, alla tradizione che sin da piccola l’ha formata, un simbolo che è per lei l’unica scelta possibile. Sin da subito però, Meryem si rapporta a qualcuno che non vede il mondo nel suo stesso modo, infatti, la dottoressa Peri, psichiatra, sembra essere proprio il suo opposto: una donna senza velo, dal vestire “occidentale” e che con il tempo paleserà un certo disagio rispetto alla tradizione rigida di Meryem e della sua famiglia. Le due donne sono la rappresentazione di due visioni diverse di una stessa cultura, un incontro tra la Istanbul occidentale e orientale, l’incontro di due aspirazioni che coesistono.
Questo incontro aprirà le porte ad un intreccio di fattori ben più intricato, si scaverà nel passato di entrambe, nei problemi e, soprattutto, compariranno in scena le figure di altre donne che come loro hanno scelto, o meno, di seguire un determinato tipo di vita. La narrazione non è lineare, anzi molto spesso si predilige uno stacco tra le varie scene che consenta un dialogo indiretto tra le parti, in modo da sottolinearne un confronto. I monologhi di Meryem in primis, ma altri in un secondo momento, fanno emergere tratti culturali, preoccupazioni, angosce, pregiudizi e mutamenti interiori; la sfera emotiva viene accompagnata e supportata da riprese lente e silenziose che si avvicinano fino a diventare primi piani sul volto delle donne, sui loro occhi e le loro espressioni.
Il ruolo degli uomini viene posto in secondo piano, non è la loro figura che prevale ma piuttosto le conseguenze delle loro azioni e delle loro parole sulla vita delle donne con cui sono in contatto. In questo caso, come nel resto della narrazione, l’atteggiamento di Meryem, della dottoressa Peri, di Gülbin e delle altre è ben diverso: da una parte appare un rispetto quasi reverenziale, un’accettazione della predominanza della figura maschile come caposaldo della famiglia; dall’altra si palesa invece un approccio più sfacciato e quasi di superiorità, una sorta di riscatto ottenuto.
La serie tv “Ethos”, che prende il nome dal termine greco che indica la morale, è un viaggio all’interno delle varie declinazioni del significato stesso, è una riscoperta e una metamorfosi, un viaggio che porta forse ad una questione: tradizione e modernità possono coesistere?
Cristina Quattrociocchi