L’angolo di Michele Anselmi
Se vi piacciono le storie vere, per la serie “Davide contro Golia”, ambientate negli sterminati spazi del Nord America, tra agricoltori impoveriti, vecchi furgoni Dodge, salmi religiosi, arroganti avvocati delle multinazionali, battaglie ecologiste e arcaiche note di banjo, “Il processo Percy” è il vostro film. Lo si può vedere su Sky da qualche settimana, risale al 2020, è stato prodotto da una tv canadese, benché l’attore americano Christopher Walken, pure protagonista, figuri come “executive producer”.
Il Percy del titolo è Percy Schmeiser, un farmer canadese di origine europea davvero esistito (1931-2020). Viveva in una fattoria insieme alla moglie Louise in quella zona del Canada chiamata Saskatchewan, evocata da molte canzoni dei Guess Who. Un uomo onesto, sobrio, laconico, “anche scattare una fotografia per la patente era troppo per lui” scherza la moglie, dedito solo al proprio lavoro di coltivatore. Ma nel 1998 ricevette una citazione in giudizio da parte della potente Monsanto Company, ramo biotecnologie agrarie. Sembra incredibile, ma la multinazionale, oggi acquisita dalla Bayer, l’accusò di aver usato suoi semi geneticamente modificati, rubandoli, in modo da consentire l’uso del micidiale erbicida “Roundup” senza che il raccolto di colza fosse danneggiato o rischioso per la salute.
Il contadino, all’epoca settantaduenne, non aveva fatto nulla del genere, essendo un uomo all’antica, abituato a selezionare i semi migliori della sua terra, annata dopo annata, per costituire scorte sicure. Quei semi erano probabilmente caduti sui suoi campi a causa di un sacco bucato acquistato da un vicino, ma il colosso chimico si mobilitò contro Percy, per dargli una lezione e ridurlo sul lastrico; sicché al poveretto, all’inizio riluttante e frastornato, non restò che tirare fuori la grinta e affrontare il processo, fino alla decisione della Corte Suprema, difeso da un avvocato di provincia, consigliato da una militante del People’s Environmental Protect (PEP) e circondato da un affetto inatteso, solidale, piovuto da ogni parte del pianeta.
Diretto da Clark Johnson, americano di Filadelfia cresciuto in Canada, “Il processo Percy” sfodera tutti gli elementi del genere: l’uomo solo e stanco che deve mettere tutto in gioco, anche l’amata fattoria, per contrastare le accuse infamanti; il pessimismo e il sospetto della piccola comunità di Bruno (il nome della città); la popolarità inaspettata, non cercata, che porterà Percy sin nella lontana India per una conferenza utile a tirar su dei soldi, e non sarà un viaggio inutile.
Christopher Walken, oggi 79enne, lo conoscete: ha un viso inconfondibile, con quei capelli ancora ribelli, lo sguardo un tempo perfetto per personaggi ambigui, spesso “cattivi” o allucinati, sempre con un’arma in mano; qui invece, appena appesantito, l’attore si diverte a incarnare questo “eroe per caso” che vorrebbe solo coltivare la terra e si ritrova invece a parlare in tv e a guidare una battaglia non scelta.
Nel cast, accanto a Walken, figurano volti abbastanza noti, da Christina Ricci a Roberta Maxwell, da Zach Braff a Martin Donovan. Nel finale risuona “This Land is Your Land”, l’inno epocale di Woody Guthrie, ma più intonata al tutto è la ballata sarcastica “Montesanto Jones” di Chris “Old Man” Luedecke piazzata sui titoli di coda.
Come andò a finire? Abbastanza bene, ma ci vollero tre anni; una scritta sui titoli di coda ci ricorda che dal 1996 in poi la Monsanto fece causa a migliaia di agricoltori, ottenendo “risarcimenti” tra gli 85 e i 160 milioni di dollari (la cifra non è verificabile).
Michele Anselmi