L’angolo di Michele Anselmi

Augurandomi che il paragone non suoni irriguardoso, stamattina al romano e un po’ sgarrupato Teatro India, in lungotevere Vittorio Gassman, sembrava di essere a una prima teatrale parecchio attesa. Per la serie: posti in piedi. Invece era l’affettuoso e caldo saluto ad Alessandro D’Alatri, il regista morto a 68 anni, stroncato da un tumore osseo. Complice il caldo estivo, il commiato s’è trasformato in un rito scandito da frequenti applausi (personalmente preferirei di no ai funerali, ma non si era in chiesa), con tanta gente del cinema e dintorni venuta ad omaggiare l’amico scomparso, chiuso in una bara semplice, senza ornamenti, con una bella foto davanti che lo ritrae col solito cappellino di baseball e il sorriso malandrino.
La commemorazione laica è cominciata con circa tre quarti d’ora di ritardo, si sa com’è fatta la gente dello spettacolo, tarda sempre; mentre fuori, sul lungotevere, fioccavano le multe perché nessuno riusciva più a trovare un posto decente per parcheggiare.
Ho riconosciuto, nella densa folla, Francesco Bruni, Alessandro Haber, Claudia Pandolfi, Matteo Levi, Andrea Occhipinti, Andrea Barzini, Mimmo Calopresti, Renato De Maria, Antonella Fattori, Thomas Trabacchi, Cinzia th Torrini, Ralph Palka, Riccardo Rossi, Pino Ammendola, Stefano Rulli, Gianni Antonangeli, Massimo Wertmüller, Anna Ferruzzo, Pivio Pischiutta, Carmen Giardina, Maria Amelia Monti, Antonio Catania, anche Sandro Ruotolo, da poco membro della segreteria nazionale del Pd, e mi fermo qui, sapendo che farò un torto a qualcuno dei presenti non citati.
Tra canzoni come “Don’t Think Twice, It’s All Right” di Bob Dylan e “Vedi cara” di Francesco Guccini, gli astanti molto si sono abbracciati e baciati, alla maniera un po’ spettacolare di quel mondo; poi sono cominciati i discorsi e i ricordi, a partire da quella delle figlie Federica e Carolina e della nuova compagna Monica (“Quei suoi occhi erano la porta su un’anima rara”). Toni lucidi, commossi il giusto, con qualche esagerazione critica sul “più grande regista italiano” che lo stesso D’Alatri, uno che sapeva sorridere di sé stesso, magari avrebbe respinto al pari di un’iperbole.
Un amico giornalista ha ricordato che D’Alatri amava citare, applicandola al proprio lavoro di artista sempre in bilico tra intrattenimento e approfondimento, nella diuturna ricerca di storie da raccontare, una frase di papa Paolo VI che suonava così: “È finita l’epoca dei maestri, è cominciata l’epoca dei testimoni”. In realtà, per la precisione, la locuzione papale è leggermente più complessa, recita: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”. Ma va bene lo stesso.

Michele Anselmi