L’immagine di un cielo blu e di un campo di grano giallo, con i suoi colori naturalmente evocativi della bandiera Ucraina, apre la pellicola “Telling My Son’s Land”, diretta da Ilaria Jovine e Roberto Mariotti, presentata a Roma lo scorso 20 maggio in una serata-evento e ospitata in molti Festival nazionali ed internazionali, quali il Biografilm Festival, Matera Film Festival, Mònde 2021, Sguardi Altrove International Women’s Film Festival e Verzio Documentary Film Festival.

È un documentario di inchiesta sul ruolo dei giornalisti di guerra affidato al racconto, frutto di reportage e di esperienza sul campo, di Nancy Porsia, giornalista internazionale dal 2011 che, nella sua riflessione, non esita, con lo stesso coraggio che ha contraddistinto il suo lavoro, a definire i giornalisti di guerra ironicamente “avvoltoi perché in qualche modo campiamo sulle disgrazie altrui. Ho visto un collega danzare alla notizia di nuovi bombardamenti. Evidentemente l’idea di tornare sul campo lo eccitava”.

Esternazioni di certo forti e pesanti, ma allo stesso tempo eccessive se si pensa ai molti professionisti uccisi mentre raccontavano e filmavano la guerra, come i sei giornalisti di recente assassinati in Ucraina, i nostrani Ilaria Alpi e Miriam Hrovatin a Mogadiscio e Mariagrazia Cutuli in Afghanistan. La stessa Nancy Porsia, freelance senza la protezione di un’autorevole testata giornalistica, ha deciso di raccontare la Libia, l’Iraq e la Siria, i paesi più caldi della nota polveriera medio-orientale, fermandosi soltanto dopo le minacce di morte dirette a suo figlio appena nato, in seguito alla pubblicazione di un’inchiesta sui traffici illeciti della Libia, che le ha causato la revoca del veto e il conseguente ritorno nella sua Matera.

Esiste dunque ancora il giornalista di guerra? O, in generale, il giornalista watchdog? Dal racconto della Nancy, costruito sul doppio registro dell’ilarità e della drammaticità ed incentrato su episodi appartenenti alla sfera pubblica e a quella privata, sì, come testimoniato dai reportage sull’immigrazione nella Libia post-Gheddafi, sui bombardamenti in Siria h24, sui ribelli siriani, sullo Stato islamico creato in Libia, l’eccidio di Sirte e, infine, sull’inchiesta sui traffici illeciti che l’ha costretta a fermarsi, ma soltanto per tutelare la vita del suo bimbo.

Alessandra Alfonsi