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 The future is unwritten, ovvero il destino non è scritto. Neanche fosse Joe Strummer, John Connor così conclude questo evitabile Terminator Salvation. Mentre lo spettatore cerca di districare il groviglio temporale in cui si trova, tra prequel e sequel, che nemmeno un tachione impazzito fuggito da Hollywood, lui, John Connor, ancora una volta combatte l’ennesimo Terminator mandato per ucciderlo, se la cava in questo modo: il futuro non è scritto. E’ un modo banale per dirci che non è finita qui? Che dovremo sciropparci un’altra sequenza di omaccioni spaccatutto? Oppure c’è un recondito messaggio sul futuro dell’umanità il senso del tempo ed il suo scorrere? Probabilmente non avremo mai la risposta. Avete probabilmente intuito che non ho avuto una grande impressione dal film, e purtroppo sostanzialmente è così. La trama è inesistente, i personaggi appena abbozzati (Christian Bale senza storia, appena decente Sam Worthington), ed anche gli effetti speciali sono alquanto di maniera. Questo non è un male, perché lo spazio mentale lasciato libero dagli effetti speciali avrebbe potuto essere occupato da pensieri ed idee. Purtroppo tutto ciò non è avvenuto, se non in minima parte. L’unico aspetto che veramente ho trovato eccellente sono le parti tecniche, ovvero scenografie, le ambientazioni, la fotografia. La San Francisco di Termination Salvation ricorda molto quella della trilogia del ponte di William Gibson. Il particolare utilizzo dei colori, sabbiati verrebbe da dire, le ambientazioni spesso notturne e l’estetica delle rovine in cui il regista si rispecchia senza riserve, danno più senso al film dell’intero dialogo. Le atmosfere sono cupe quanto basta ed il senso di devastazione post apocalittico è il tema dominate. Anche la scena in fonderia (va bene la citazione, con il cameo del governatore della California, ma rifarla identica mi è sembrato eccessivo) rimanda a cinematografie di stampo espressionista, Lang o Murnau, come altrettanto la scena dell’arrivo dei prigionieri a Skynet. Vorrei poter credere che questi riferimenti siano voluti in un regista la cui opera principale finora è stato Charlie’s Angels. E però indiscutibilmente ottima la scelta della troupe tecnica: il direttore della fotografia Shane Hurlbut, lo scenografo Martin Laing, il montatore Conrad Buff (premio Oscar per Titanic), il costumista Michael Wilkinson (Watchmen), il supervisore degli effetti visivi Charles Gibson (Oscar per Pirati dei Caraibi – La maledizione del forziere fantasma), il supervisore agli animatronics John Rosengrant del premiato studio di Stan Winston (il film è dedicato alla sua memoria perché il maestro, responsabile di effetti speciali e trucco della saga, è scomparso un anno fa), e l’ormai celebre compositore Danny Elfman, quattro volte candidato all’Oscar. Un vero peccato che tanta competenza non sia stata meglio indirizzata. Infine, per concludere: se avete visto i primi tre film, andate senza dubbio a vedere anche questo, ne apprezzerete la possibilità di vedere questo mondo futuro dominato dalle macchine di cui per tre film vi hanno lungamente parlato, ma se non siete fan della serie – spassionatamente – lasciate perdere, non vi perdete nulla. Lo vedrete in TV tra sei mesi.

ps. nei titoli di coda appare il PLF, ovvero il Pixel Liberation Front, qualcuno sa chi sono i membri? potrebbe essere interessante …