L`angolo di Michele Anselmi | Pubblicato su Il Secolo XIX
Non proprio una sorpresa. Ma dispiace comunque. “Terraferma” di Emanuele Crialese è fuori dalla corsa all’Oscar, non comparendo neanche nella cosiddetta short-list allargata a 9 titoli, categoria “miglior film straniero”, resa nota ieri sera, a pochi giorni dalle cinquine ufficiali previste per martedì. Sembra una maledizione, e magari qualcuno dirà, facendo appello alla solita cine-retorica nazionale, che all’Academy Awards ce l’hanno con noi. Ma se fosse, invece, che non azzecchiamo i film da spedire all’Oscar per rappresentare i nostri colori?
Con l’eccezione di “La bestia nel cuore” di Cristina Comencini, in cinquina nel 2006 solo in extremis, per motivi tecnici grazie alla bocciatura di un altro film (“Private” di Saverio Costanzo), è dai tempi di “La vita è bella” di Roberto Benigni che l’Italia non si affaccia organicamente alla festa planetaria del cinema. La statuetta per il miglior film non girato in inglese sarà pure una portata minore nel gran banchetto degli Oscar, tuttavia brucia la ripetuta esclusione. Nel 2010 “La prima cosa bella” di Paolo Virzì, nel 2009 “Baarìa” di Giuseppe Tornatore, nel 2008 “Gomorra” di Matteo Garrone, per dirne solo alcuni. Laconico il commento di Crialese, già respinto bocciato per il suo “Nuovomondo”: «Penso al futuro. Sono in Brasile. Congratulazioni a tutti quelli che ce l’hanno fatta!».
Vai a sapere, col senno di poi, se avrebbero avuto maggiori chance di riuscita “Habemus Papam” di Nanni Moretti, “Noi credevamo” di Mario Martone o l’outsider “Corpo celeste” di Alice Rohrwacher, sorella di Alba. Di sicuro l’anno scorso si sbagliò a non designare “Io sono l’amore” di Luca Guadagnino, uscito negli States con notevole successo, oltre 5 milioni di dollari, per essere italiano.
A fine settembre “Terraferma” è parso agli esperti riunitisi all’Anica il film giusto, senza esserlo. Ci si era illusi che il generoso Premio speciale della giuria beccato in extremis a Venezia, con la complicità del presidente mülleriano Danny Aronofsky, avrebbe lavorato per il meglio. E fresco è il ricordo della motivazione scolpita dal Sindacato giornalisti cinematografici nell’attribuire il Premio Francesco Pasinetti: «Tra cronaca autentica e racconto epico, tra realismo e poesia, “Terraferma” mette a fuoco, con splendide immagini e un cast eterogeneo di particolare forza espressiva, un capitolo di quotidianità che è già Storia dei nostri tempi, andando oltre la terra degli sbarchi, con un messaggio universale di solidarietà». Troppa grazia per un film squilibrato e irrisolto, dai tratti ingenui: molti sorrisero di quel giovane pescatore che ignora il significato della parola topless stando in un’isola siciliana d’estate popolata di turiste. Infatti all’Academy Awards non hanno convenuto.
Del resto basterebbe la presenza, tra i nove titoli pre-selezionati, dell’iraniano “Una separazione” di Asghar Farhadi, già vincitore di un Golden Globe, per cogliere la differenza di stile, ispirazione, forza espressiva, capacità di raccontare un mondo. Gli altri otto? Il belga “Bullhead” di Michaël R. Roskam, il canadese “Monsieur Lazhar” di Philippe Falardeau, il danese “SuperClásico” di Ole Christian Madsen, il tedesco “Pina” di Wim Wenders, l’israeliano “Footnote” di Joseph Cedar, il marocchino “Omar Killed Me” di Roschdy Zem, il polacco “In Darkness” di Agnieszka Holland, il taiwanese “Warriors of the Rainbow: Seediq Bale” di Wei Te-Sheng. A occhio vincerà l’iraniano.
Michele Anselmi