L’angolo di Michele Anselmi 

Ha senso il sottotitolo che la Bim ha aggiunto a “The Father”, cioè “Nulla è come sembra”. Perché prepara lo spettatore ad assistere a una sorta di “kammerspiel” sul progressivo smarrimento mentale di un uomo anziano. A suo modo il film è anche un “thriller”, se volete dell’anima e del cervello, perché la malattia che tutti ci spaventa, il morbo di Alzheimer, viene raccontata in una chiave di suspense, per scarti progressivi e piccole allucinazioni, in modo da spiazzare non solo i personaggi ma anche chi sta vedendo.
Da giovedì 20 nelle sale in versione originale sottotitolata e dal 27 in quella doppiata, “The Father” arriva sull’onda di un Oscar vinto da Anthony Hopkins, classe 1937, coetaneo, a partire dalla data di nascita e dal nome di battesimo, del personaggio che incarna sullo schermo. Pensavo che la nuova statuetta poco aggiungesse al profilo artistico dell’attore britannico, mi sbagliavo, perché Hopkins si cimenta qui con una materia insidiosa, con fine misura espressiva, mai lasciando che un certo istrionismo a lui connaturato debordi sul personaggio.
Alla base c’è un pièce teatrale del giovane drammaturgo francese Florian Zeller, già portata al cinema in patria da Philippe La Guay nel 2015, protagonista Jean Rochefort. Adesso è lo stesso Zeller a esordire alla regia, trasportando a Londra la vicenda, ambientata quasi tutta in un interno e riscritta insieme all’illustre collega Christopher Hampton (secondo Oscar al film).
“Sta succedendo qualcosa di strano, credimi Anne” confessa Anthony alla figlia rimasta, un’altra, Lucy, è morta anni prima. L’ottantenne, elegante e colto, sembra invecchiare bene, ascoltando Bizet e gustando buon whisky, solo recalcitrante all’idea di avere in casa una “badante”. Ma quell’appartamento è davvero il suo, come sostiene rabbioso? E chi è quel signore un po’ brutale e cinico che appare nel soggiorno, sostenendo di essere sposato con Anne?
Consiglio di non cercare una “logica” nell’ingarbugliarsi dei punti di vista e delle situazioni, perché il fascino del film, se tale è, consiste proprio nell’abilità con la quale Zeller, senza barare, solo bluffando un po’, svela un po’ alla volta l’ottundimento intellettuale dell’anziano (manie, disorientamento, intermittenze, scatti d’umore).
Chiunque abbia avuto un malato di Alzheimer in casa, a me purtroppo è successo, sa che di colpo un interruttore smette di funzionare, un marginale evento meccanico anticipa il crollare della diga cerebrale. L’abbiamo visto in film sul tema come “Amour”, “Lontano da lei”, Still Alice” e “Una sconfinata giovinezza”, per dirne quattro; succede anche in “The Father – Nulla è come sembra”, in un intrecciarsi di segnali allarmanti, battute acide, allucinazioni, scambi di persona. L’andirivieni temporale si infittisce nel corso dei circa 90 minuti, lasciando che solo gli abiti indossati da Anne suggeriscano una specie di cronologia dei fatti.
Hopkins è ammirevole nel descrivere il fiero e imperscrutabile naufragare del suo Anthony, ma anche gli altri interpreti non sono da meno: la figlia Olivia Colman, la giovane badante Imogen Poots, il genero Rufus Sewell, l’infermiera Olivia Williams…
“Mi sento come se perdessi tutte le foglie” scandisce in sottofinale l’ottuagenario tornando un po’ bambino: una battuta che spiega molto, se non tutto, alla luce della scena successiva.
PS. Nella versione doppiata è l’ottimo Dario Penne a dare la voce, e che voce, ad Hopkins, come sempre. Tuttavia in inglese è meglio.

Michele Anselmi