L’angolo di Michele Anselmi
Ricordavo di averlo visto in qualche film, ad esempio nel recente remake del western “I magnifici sette” con Denzel Washington, ma l’attore messicano Manuel Garcia-Rulfo, classe 1981, un metro e novanta di altezza, è davvero una sorpresa nei panni di Mickey Haller, l’avvocato di Los Angeles protagonista della serie “The Lincoln Lawyer”, purtroppo ribattezzata da noi “Avvocato di Difesa” (?). La danno su Netflix, dal 13 maggio, e consiglio di vederla, naturalmente in lingua originale con i sottotitoli.
Trattasi di un “legal drama” statunitense, ideato dal prolifico sceneggiatore e produttore David E. Kelley e sviluppato da Ted Humphrey sulla base dei personaggi inventati dallo scrittore Michael Connelly. Già nel 2011 si girò un film, con Matthew McConaughey e Marisa Tomei, intitolato anch’esso “The Lincoln Lawyer”, su quest’avvocato sui generis, brillante e tosto ma con qualche problema di dipendenza (antidolorifici) alla spalle. Francamente la serie mi pare migliore di quel film per il grande schermo: anche perché il 41enne attore messicano, asceso a ruoli da protagonista, offre di Haller un ritratto più sfaccettato, interessante, non prevedibile, quasi malinconico.
Figlio di un carismatico principe del Foro che aiutò anche dei poveracci “pro bono”, Mickey porta quel soprannome perché adora guidare le Lincoln, un tipo di auto lussuose costruite dalla Ford, tanto da possederne parecchie, di ogni stagione, colore e modello. Quando l’incontriamo, nel primo episodio, non se la passa troppo bene sul piano professionale: da più di un anno non esercita la professione, preferisce la tavola da wind-surf in attesa di tempi migliori; ma un collega famoso, tal Jerry Vincent, è stato appena trovato ucciso in un parcheggio e così Haller viene a scoprire che il morto gli ha lasciato “in eredità” tutti i casi ancora aperti. Specialmente uno, assai delicato e dai contorni rischiosi: la difesa di un giovane e arrogante milionario, l’inventore di videogiochi Trevor Elliott, accusato di aver sparato alla moglie e al suo amante, beccati a letto rientrando a casa prima del tempo.
Le serie sugli avvocati sono un classico americano, quante ne abbiamo viste in questi anni; tuttavia “The Lincoln Lawyer” possiede una sua qualità, grazie soprattutto alla struttura delle puntate e alle vicende parallele, tra versante umano, superlavoro processuale e scheletri nell’armadio. Per dire: Haller ha avuto due mogli, segnate sul suo telefono come “wife 1” e wife 2”, e con tutte e due deve avere ancora a che fare, pure sul piano professionale. L’una, Maggie, incarnata da Neve Campbell (ricordate la serie “Scream”?), è un tosto procuratore distrettuale nonché madre di sua figlia adolescente; l’altra, Lorna, incarnata da Becki Newton, è la sua collaboratrice tuttofare nello studio appena riaperto. Poi ci sono l’autista Izzy, una giovane afroamericana lesbica, già con problemi di dipendenza, perspicace e scaltra, ben resa da Jazz Raycole, e l’audace detective “Cisco”, un capellone ex “Hell’s Angels” interpretato da Angus Sampson.
Abile nel bluffare, anche nell’incantare le giurie con battute spiritose, lo sgualcito Haller è ritratto dalla serie come un vincente nato colto in un momento di stallo emotivo: alle prese con errori del passato, sensi di colpa, sconfitte sentimentali, pure minacce crescenti alla sua vita (il caso di cui si sta occupando nasconde un verminaio di interessi che porta a un oligarca russo amico di Putin).
Sono arrivato al sesto episodio e non mi sono annoiato neanche un po’, anzi sono curioso di vedere dove va a parare. Mi pare già molto.
Michele Anselmi