“Hollywood è in crisi, non ci sono più idee”, quasi un mantra ormai. Dimostrato, però, dalle numerosissime trasposizioni cinematografiche di libri o fumetti che hanno letteralmente sommerso gli schermi nell’ultima decade, spesso con risultati nemmeno troppo esaltanti; ma fino a qualche anno fa non era inusuale scorgere in cartellone titoli derivanti dalle serie tv di maggior culto. Si perché pur di colmare la voragine, registi e produttori avevano iniziato ad attingere a piene mani da quel panorama televisivo che fino a pochi anni prima era considerato l’ultimo passo prima della fine di una carriera (il cosiddetto “cimitero degli elefanti”). E così spuntarono all’orizzonte lungometraggi che cercavano di dare nuova vita a personaggi – più o meno – entrati nell’immaginario collettivo, da serie come Starsky e Hutch, La famiglia Adams e Agente Smart. Se questa tendenza sembrava essere rientrata negli ultimissimi tempi, ecco che a rinverdirla ci pensa il dinamico duo targato Disney di Jerry Bruckheimer e Gore Verbinski, forti del successo della saga di Pirati dei caraibi.
A fare da cavia stavolta è stata scelta una popolare serie televisiva che definire di culto sembra quasi poco: The Lone Ranger, conosciuta in Italia come Il cavaliere solitario, uno sceneggiato western in voga negli anni Quaranta e Cinquanta che brillava per la grande capacità di unire l’azione e l’adrenalina ad un’ironia tipica del genere. A fare le veci del ranger interpretato un tempo da Clayton Moore qui troviamo Armie Hammer, già visto nel duplice ruolo dei gemelli Winklevoss in The Social Network e nel discusso J. Edgar di Clint Eastwood; ma così come nella serie, la parte del leone spetta ad un personaggio che in principio avrebbe dovuto essere la semplice spalla del protagonista: l’indiano Tonto. Questo ruolo singolare – da cui deriva in parte l’idea del celebre Chico, personaggio di bonelliana memoria – che su piccolo schermo fu di James Silverheels è stato affidato al solito Johnny Depp, che come da programma si è definito un grande fan della serie, affermando che interpretare il ruolo del suo beniamino d’infanzia è sempre stato un sogno solo ora realizzato (in realtà, un déja vù che ci riporta allo stesso discorso fatto dall’attore quando parlò di La fabbrica di cioccolato, Alice in Wonderland e Dark Shadows).
Non particolarmente felice è stata l’idea di conferire al nativo americano un aspetto che ricorda troppo da vicino Jack Sparrow, il protagonista del già citato Pirati dei Caraibi: una mossa di marketing che sicuramente non contribuisce a garantire una serietà esteriore al progetto, che per il solo fatto di trarre spunto da una serie conclusa da oltre cinquanta anni si attira il pregiudizio di una grande fetta di pubblico. Ad aggiungersi al rischio di non riuscire a riprodurre le vecchie atmosfere in un solo lungometraggio – tentativo peraltro già fallito nel 1981 con un primo film che annoverava nel cast anche Christopher Lloyd, La leggenda di Lone Ranger – c’è anche il genere cui la pellicola appartiene: realizzare un western che sappia ancora appassionare nel 2013 non è sicuramente un’impresa facile, dato che solo sporadicamente qualcuno si arrischia nel tentativo producendo pellicole che in pochi apprezzano, nonostante la qualità (basti pensare ai relativamente recenti Open Range – Terra di confine di Kevin Costner o Appaloosa di Ed Harris). Per questo motivo la via più praticabile è quella di creare un’aria scanzonata che tramuti le ambientazioni western in qualcosa di più moderno, esattamente come è stato fratto a suo tempo con il tema piratesco: che questo esperimento sia destinato effettivamente a funzionare?
Mattia Ferrari