THE MILLIONAIRE
Uno sguardo occidentale sull’India moderna,
una favola romantica di riscatto,
un amore scritto nel destino
Come ha fatto Jamal, ragazzo cresciuto nelle baraccopoli di Mumbai, ad arrivare a un passo dalla più grande vincita nella storia della televisione indiana, partecipando a “Chi vuol essere milionario”? Eppure è quello che sta accadendo: di fronte a milioni di telespettatori, Jamal si prepara per l’ultima domanda, quella che potrebbe fargli vincere venti milioni di rupìe. Ha forse barato? O era scritto nel destino?
Per sapere la risposta, bisogna ripercorrere le tappe della vita di Jamal, a partire dall’infanzia tragica vissuta negli slums della tentacolare metropoli indiana. È da quei sobborghi che il regista Danny Boyle parte per dipingere un affresco dell’India moderna, senza nascondere la parte più oscura, crudele e inumana della vita nella città di Mumbai. Violenze e conflitti religiosi portano Jamal a rimanere orfano a pochi anni d’età, e a condividere una vita di sotterfugi e miseria con il fratello Salim e con Latika, una bambina di cui Jamal è perdutamente innamorato.
L’aspetto che più colpisce è osservare il poco valore che la vita arriva ad avere in queste realtà, constatando come la violenza sia così diffusa e gratuita, anche nei confronti dei bambini.
E così tra gangsters, pellegrinaggi tra montagne di rifiuti, ruberie per continuare a sopravvivere, Jamal va avanti. Ma l’aspetto più commovente e straordinario è che il nostro, stretto tra condizioni di vita così estreme, trovi il modo di conservare intatta la sua innocenza e la sua capacità d’amare, come se avesse trovato un luogo protetto dove preservare limpida la sua umanità e il suo amore per Latika, più volte persa e sempre ricercata.
Allo stesso modo l’India di Boyle è caotica, miserabile, vertiginosa e violenta, animata da spaventosi squilibri, insensibile e inumana. Ma conserva un cuore pulsante di calda e colorata umanità, in cui in fondo non c’è spazio per la disperazione esistenziale che pure avrebbe modo di esistere. Tutto è dinamico, animato da una essenza vitale che potremmo chiamare speranza, ma che in realtà è semplice amore per la vita stessa. Boyle rende questi aspetti con movimenti di camera veloci e scattanti, accostati a un montaggio molto dinamico, soprattutto nelle frequenti e caotiche scene di inseguimento negli incomprensibili slums della metropoli. Il ritmo è costante anche se non frenetico. Molto vivace e di grande impatto la fotografia: nitida, fresca, mostra mosaici dai mille colori, con tasselli formati ora dai tetti delle baraccopoli, ora dai panni stesi ad asciugare e ancor di più dal magnifico colpo d’occhio di magliette, camicie e vestiti stesi a migliaia sulla riva del fiume, presso il più grande lavatoio della città. In genere i campi lunghi sono di grande effetto e spingono l’occhio a esplorarli in lungo e in largo, alla ricerca di forme, colori e dettagli. Incantevole la figura del Taj Mahal che emerge a poco a poco dalla nebbia.
Boyle conferma con questo film la sua capacità di mischiare generi e prospettive apparentemente discordanti in maniera armoniosa e non forzata. Commedia, dramma, crimine, ironia, sentimento trovano un punto d’intersezione e una felice sintesi attraverso la visione e il modo di sentire molto personale del regista, come era già successo per il capolavoro “Trainspotting” e altre sue opere.
Emanuele Spedicato