Vent’anni ad esplorare l’ampio ventre della commedia, Michel Hazanavicius è forse il più brillante tra gli artigiani francesi, basta pensare a The Artist. E’ il 2014: l’autore e il melodramma si incontrano per la prima volta. L’occasione è The Search, rifacimento di Alba tragica (Fred Zinnemann, 1939). La pellicola trova il suo tempo durante la seconda guerra cecena all’alba degli anni 2000. Nonostante innegabili proseliti, presentato in concorso al Festival di Cannes, il film si dimostrerà null’altro che una delusione. Uomo e regista di puro talento e intelligenza, Hazanavicius si dimostra coraggioso, pronto a oltrepassare le jeu brillant per dar luogo a un film di guerra che è allo stesso tempo melodramma a tinte forti.
The Search è opera in equilibrio precario, quasi malata, cinema in cui confluisce ogni capriccio dell’autore. Delle tre sezioni, a dividere e riunire personaggi e storie, solo quella del giovane soldato è realmente efficace. Forse troppo spesso s’avverte l’influenza di figure tutelari estrapolate da Full Metal Jacket e Requiem per un massacro. Il volto del milite, maschera sanguinolenta ripresa in lunghezza focale lunga, ricorda il cinema senza tempo di Elem Klimov. Tuttavia in questa sezione il film non soffre di dialoghi inutili e drammaticamente fuori luogo. Qui il silenzio e la violenza fredda catturano gli elementi per condurre un adolescente a trasformarsi in mostro. Qui il regista di talento e il narratore Michel Hazanavicius brillano per d’efficacia.
Supportato da una sceneggiatura corale, il regista sperimenta un ritmo che vorrebbe intrigante avvalendosi altrimenti di una struttura classica e lineare che, portata allo stremo, finisce per tediare il pubblico. Ma è la profonda/acerba interpretazione del giovanissimo Abdul Khalim Mamutsiev ad affascinare mantenendo il ritmo di un’azione altrimenti gracile. La sua performance sorpassa perfino i giocatori più esperti, una tra tanti Bérénice Béjo (Carole, una funzionaria dell’Organizzazione europea per i diritti umani), il cui intervento è certo meno efficace rispetto a Il passato di Asghar Farhadi. Le entrate in scena del giovane attore, fini e delicate, sono un’opportunità per il regista: contrastare il troppo miele di alcune scene e la durezza di altre. Ma il film inciampa nella sua stessa sceneggiatura sì che The Search salta bendato e a piedi uniti nella trappola del manicheismo: Hazanavicius oppone i buoni ai cattivi evitando ogni genere di sfumatura. Tale scelta, del tutto irrazionale condanna la pellicola al punto da dubitare della concretezza del narrato. Ciò che ci si aspettava – autenticità e audacia per una sceneggiatura incisiva – è vanificato da questo stigma di pura ingenuità, d’abuso di buoni sentimenti.
Chiara Roggino