Il cinema di Tony Scott, pubblicato da Il Foglio Letterario, è l’unica monografia italiana dedicata al regista di Domino e L’ultimo Boy-Scout, un visionario capace di ibridare vari linguaggi che ha consegnato al pubblico un corpo d’opera personalissimo e ancora troppo sottovalutato. Abbiamo parlato di Tony Scott (1944-2012) con Mario Gerosa, saggista e critico cinematografico, che ha curato il volume.
“Commerciale” eppure legato a codici autoriali, il lavoro di Tony Scott è reinvenzione e innovazione insieme. In cosa si distingue da quello degli altri autori afferenti al cosiddetto postmoderno cinematografico?
Non credo che il cinema di Tony Scott si possa definire “commerciale”, a meno che non si faccia riferimento alla sua raffinata capacità di trasformare e adattare certi stilemi tipici dei filmati pubblicitari a una poetica dichiaratamente autoriale. Spesso Scott ha scelto soggetti in grado di diventare film di successo, che hanno sbancato al botteghino e che continuano a essere replicati in televisione, ma ciò non significa che si tratti di cinema commerciale. Il fatto di aver privilegiato una logica mainstream, non equivale automaticamente a sancire che un film sia solo un prodotto di largo consumo. Anzi, Scott ha sempre saputo piegare storie e contesti di grande richiamo a una modalità narrativa totalmente inedita che non di rado guarda allo sperimentalismo. Uno “sperimentalismo per tutti”, si potrebbe dire, giacché il regista di Miriam si sveglia a mezzanotte e di Top Gun ha un atteggiamento profondamente democratico e cerca di veicolare e comunicare l’innovazione in termini comprensibili (non semplici), in modo da fare arrivare il messaggio a un vasto pubblico. Questo tipo di scelta differenzia Scott da altri registi più criptici, se non addirittura snobistici. I film del regista inglese sono ricchissimi di allusioni artistiche e di invenzioni all’avanguardia, però non sono mai proposte in forma di compiacimento estetico, bensì di sofisticata forma di intrattenimento. Comunque, credo che Tony Scott sia uno dei rappresentanti più classici, se non il più classico, del cinema postmoderno. Nei suoi film c’è sempre, molto forte, il legame con la tradizione. Un riferimento da cui non si stacca mai e che quindi lo riaggancia a un modello di cinema ben radicato nella storia. Forse più che uno dei pionieri del cinema postmoderno, lo vedo come uno dei più arditi antesignani del cinema di ieri. Come dire, The Last Boy-Scout.
Nella tua introduzione fai riferimento anche al concetto di “opera d’arte totale”. In che modo, questo, si avvicina al mondo di Scott?
Tony Scott era un visionario, un regista con la sensibilità di un pittore e con un pronunciato immaginario dichiaratamente tecnologico. I suoi film guardano all’idea di opera d’arte totale perché utilizzano una miriade di linguaggi diversi tra loro, aggiornando un concetto già presente nell’Ottocento romantico alla luce della sensibilità, e soprattutto dei codici tecnologici, del Ventesimo e del Ventunesimo secolo. Nei film di Scott la lezione classica della Gesamtkunstwerk è riproposta e aggiornata in chiave postmoderna, con continue, riuscite sinergie di immagini e musica, spaziando tra letture e riletture di generi diversi tra loro. Nei suoi film, dove prendono forma arditi raccordi tra varie forme espressive e tra differenti strumenti mediatici, non è raro veder alternarsi spezzoni di gusto documentaristico, sequenze memori del cinema più tradizionale e riprese al limite dell’avanguardia. Spesso nei suoi lavori più riusciti vanno in scena inediti mix musicali con omaggi al rock o al melodramma, e c’è una staffetta tra i film dalla fotografia dai colori acidi e quelli con i tradizionali tramonti infuocati. Un’idea di opera d’arte totale di Scott che si estrinseca anche grazie all’introduzione di elementi tipici dell’arte concettuale, come, per esempio, la grafica, che diventa un elemento narrativo di primo piano in certe sequenze di Domino e di Nemico pubblico.
Parliamo dell’esperienza nel mondo della televisione. Come per il fratello Ridley, anche per Tony questo medium ha un’importanza fondamentale…
Per Tony Scott, come per altri registi attivi tra la seconda metà del Novecento e i primi anni del Terzo millennio, la televisione è un riferimento imprescindibile. Non mi riferisco tanto all’esperienza di Scott come regista televisivo, quanto alla fascinazione dell’autore per quel medium. In Una vita al massimo come in Domino, la televisione è molto presente, e rappresenta un’occasione per declinare una meta-narrazione parallela, in cui la storia si racconta, indirettamente, anche attraverso le immagini trasmesse sul piccolo schermo. La televisione è una componente fondamentale nell’idea di opera d’arte totale concepita da Scott, e rappresenta anche un prototipo della virtualità che alligna nel web. Direi che la televisione è per il cinema di Tony Scott quello che la dimensione immateriale dei mondi sintetici del computer è per i film contemporanei più innovativi: nell’opera di Scott c’è la stessa idea di ibridazione di differenti piani linguistici, realizzata in maniera più classica, con i film presenti nel film, utilizzati strumentalmente per articolare un’ulteriore linea narrativa.
Qual è stato il criterio adottato per la scelta dei film analizzati di capitolo in capitolo e in che modo li hai affidati ai vari collaboratori?
Nel libro ho cercato di dare una panoramica ampia e il più possibile esaustiva del lavoro di Tony Scott, chiedendo ad ogni autore di occuparsi di un film, coprendo tutta la filmografia. In particolare, poi, mi sono confrontato con i singoli autori per trovare, di volta in volta, un tema dominante legato ai film in questione, che permettesse di esplorare un aspetto peculiare della poetica del regista. Ecco allora che, contestualmente alla critica di un singolo film, emerge un aspetto forte, che ora è l’idea di melò rivisitato, ora il concetto della società del controllo, ora la struttura da poliziesco da videoclip.
Il cinema di Tony Scott, pubblicato per Il Foglio Letterario quattro anni fa, è ancora l’unico volume dedicato al regista…
Il libro è stato accolto con interesse e credo abbia assolto la sua funzione primaria, che consiste nella riscoperta e nella valorizzazione di un autore che è sempre stato molto in anticipo sui tempi. Proprio in questi mesi, poi, è uscita in Francia un’altra monografia, “Tony Scott: le dernier samaritain”, di Aubry Salmon, pubblicata da Ynnis Edition.