L’angolo di Michele Anselmi

Certo non è facile da mandare giù. Vedi la prima puntata della quinta stagione di “Rocco Schiavone”, ogni mercoledì sera su Raidue, anticipatamente su Raiplay, e scopri che il fantasma di Marina, l’amatissima moglie del vicequestore, non è più incarnata da Isabella Ragonese, bensì da Miriam Dalmazio. La serialità televisiva tritura ogni convenzione, basterà poco alla fine per farci l’abitudine, magari l’attrice siciliana s’era stufata, chiedeva troppi soldi o aveva di meglio da fare durante le riprese in Val D’Aosta; e tuttavia ci si fa caso, questa nuova Marina ectoplasmatica è meno diafana e sensuale, anche se insegna al ruvido poliziotto, come vuole la tradizione, un’altra parola desueta: “odeporico”, cioè “che è proprio di un viaggio, che riguarda un viaggio: diario odeporico; narrazione odeporica”.
Del resto la prima delle quattro puntate, sempre dirette da Simone Spada, si chiama proprio “Il viaggio continua”, anche se tra qualche cambio di cast e ritocchi vari. L’episodio d’avvio fonde due racconti di Antonio Manzini scritti in anni diversi, “Confini” e “…palla al centro”; mentre, se ho capito bene, gli altri tre saranno incentrati sul più articolato romanzo “Vecchie conoscenze”, antecedente all’ultimo “Le ossa parlano” (immagino da utilizzare nella sesta serie).
Naturalmente la stanchezza un po’ si sente, ma bisogna riconoscere che Marco Giallini pare impegnarsi più del solito, senza andare col pilota automatico come nel recente passato: malinconico e scettico, non largheggia in ’sticazzi, canne e scatti d’ira, anzi sembra quasi rassegnato di fronte all’età che avanza.
Infatti subito lo vediamo alle prese con una défaillance sessuale con la giornalista Sandra, la terza di seguito, come se l’avesse messa nel conto; le chiede pure di vestirsi e andarsene, non ricordandosi di essere a casa della donna (Schiavone è distratto, lo sappiamo).
Nel frattempo “si prospetta una rottura di coglioni di livella 10”: il cadavere di un 56enne francese è stato recuperato in cima al Monte Bianco, a un passo dal motore della funivia, solo che il morto ha indosso documenti italiani, relativi a un giovanotto parecchio più giovane. Il vicequestore vorrebbe scansare la faccenda, infatti fa spostare il corpo a pochi metri di distanza, in territorio straniero, ma i capi se ne accorgono e così si ritrova a collaborare, tra Aosta, Chamonix e quel rifugio impervio a tremila metri d’altezza, con la tosta poliziotta transalpina Isabelle, ossia Diane Fleri, che molto gli somiglia per spirito e atteggiamenti.
Intanto c’è da mettere insieme una squadretta di calcio per una partita di beneficenza tra poliziotti e magistrati; e naturalmente i suoi due vecchi amici romani Furio e Brizio (Sebastiano tornerà a farsi vivo nella prossima avventura) gli daranno una decisiva mano.
Diciamo che l’intreccio poliziesco vero e proprio non è, in questo caso, dei più avvincenti, ma con il cinquantenne Schiavone conta più l’atmosfera esistenziale: il senso di spaesamento, le Clarks sempre bagnate e il Loden che non ripara dal freddo pungente, il sesso cercato e respinto, quello stare emotivamente in bilico ma in fondo pronto a cadere, il rapporto buffo con i suoi sottoposti, alcuni dei quali ormai diventati amici e confidenti.

Michele Anselmi

(Nella foto: Marco Giallini con Miriam Dalmazio, la nuova Marina)