di Adalberto Gianuario

Stavolta Clooney veste i panni e impugna il trolley di un tagliatore di teste, uno che gira per gli Stati Uniti a licenziare i dipendenti delle molte aziende in crisi o sull’orlo del tracollo. “Nella maggior parte dei casi” – rivela Clooney-Ryan nelle prime sequenze del film – “i loro capi non hanno il coraggio di farlo, così chiamano gente come me”. Ed eccolo sedersi di fronte all’ignaro interlocutore, far sfoggio della sua classe e annunciare una delle peggiori notizie che un uomo possa ricevere con inappuntabile distacco. Le sue armi? Una elegante freddezza, che emana dal personaggio contagiando il look dell’intero film, e un repertorio di formule da controbattere a tutte le reazioni a cui i neo dispensati dal lavoro (“mai usare il termine licenziato”), possono abbandonarsi nel fatale momento. La sua preferita è quasi un marchio di fabbrica: “Tutti gli uomini che hanno cambiato il mondo sono stati seduti sulla poltrona su cui ora è seduto lei, ed  è proprio perché sono stati seduti lì che sono stati capaci di farlo”.


George ha le proprie idee sulla vita e le professa di fronte alle platee di quei convegni su come ottenere successo, dai quali è richiestissimo. E’ la filosofia dello zaino vuoto, come la chiama lui, della vita dispensata, per l’appunto, da responsabilità e dall’inutile fardello degli affetti duraturi. Insomma, nulla scompone la beatitudine di quest’uomo sempre in volo tra un   check-in e l’altro. Un’ombra di eccitazione affiora solo quando confessa ad Alex, sua simile incontrata in uno dei tanti alberghi di passaggio, la propria somma aspirazione: raggiungere un milione di miglia di volo e ottenere la più esclusiva carta fedeltà che si possa infilare nel portafogli.
 
Si dice che la commedia è una storia drammatica vista col filtro della leggerezza, per “Tra le nuvole” ciò è particolarmente vero. Jason Reitman, figlio d’arte di Martin, regista di Ghostbusters, percorre con sicurezza il crinale che separa l’allegria dall’amarezza e dopo Thank you for smoking e Juno, consolida una felice cifra registica con cui distilla la stretta attualità con i mezzitoni della commedia sofisticata, architetta meccanismi comici intorno alle aberrazioni del presente e dona il piacere di una risata intelligente. Gli piace lavorare sulla citazione scoperta – nel caso di Juno faceva riferimento a dei vecchi vhs di Dario Argento, in questo ai nani da giardino del mondo di Amelie  – e imprimere un certo stordimento ai propri personaggi, rendendoli vagamente surreali: vedi la sequenza in cui Ryan ottiene l’agognata carta fedeltà e, in clima di sospensione onirica, comprende che il paradiso è bello, ma non quanto se lo era immaginato.

Insomma tutto bene, dialoghi moderni, attori in forma, ritmo serrato ma non a perdifiato e una storia capace di stupire. Eppure, si esce dal cinema con la sensazione di aver visto qualcosa che si dimenticherà presto. Tra le nuvole ha tutti gli attributi per essere un film cattivo, la materia, i personaggi, riflettono lucidamente sulla crudeltà del presente, ma alla fine non aggredisce, non morde e proprio nel finale disinnesca gli esiti di una premessa deflagrante. Non tanto per il trionfo  dei buoni sentimenti o per  il troppo morbido atterraggio del nostro tagliatore di teste nel mondo degli esseri umani; ma perché, in fondo, proprio quando ti aspetti di essere spiazzato definitivamente, che insomma succeda qualcosa di grosso, la storia arresta la sua propulsione e ormeggia verso l’approdo più visibile e sicuro. Il film è più che godibile, ha tutti gli ingredienti per volare sopra i precedenti, per lo meno negli incassi, e conferma l’autore di un cinema di idee, di un cinema cinema. Ma, sarà un eccesso di sospetto, suscita anche la  curiosità di sapere cosa poteva uscirne fuori con un’attitudine più indipendente, con un approccio più libero e magari appena fuori misura. Ultima annotazione. Il film è rigorosamente in 2d effetti speciali migliori: il sorriso di Clooney e il racconto dei veri licenziati durante i titoli di coda. Provare per credere.