L’angolo di Michele Anselmi 

Come vogliamo definirlo? Direi un Eastwood minore, molto minore. Purtroppo. Il regista, classe 1930, continua con “Ore 15.17. Attacco al treno”, da giovedì 8 febbraio in sala targato Warner Bros, un suo personale discorso cinematografico sugli eroi americani, anche quelli “per caso”, cercando nella cronaca spunti non banali per mettere a punto una sorta di romanzo sulle virtù, appunto eroiche, del suo Paese. Il cecchino di “American Sniper”, il pilota di “Sully”, ora i tre giovanotti di Sacramento in vacanza nella vecchia Europa che il 21 agosto del 2015 sventarono, sul treno Thalys 9364 diretto a Parigi da Amsterdam, l’attentato organizzato da un terrorista islamista armato di Kalashnikov, pistola, coltello e circa 300 proiettili. Poteva essere una strage, invece Spencer Stone, Alek Skarlatos e Anthony Sadler ebbero la prontezza di intervenire prima che tutto degenerasse.
Come forse sapete, la trovata sta nel far interpretare ai tre veri “american heroes” il ruolo di se stessi sullo schermo. Scelta rischiosa, eppure in linea con lo spirito del film, desunto dal libro omonimo, firmato dal terzetto insieme a Jeffrey Stern e pubblicato in Italia da Rizzoli. Eastwood deve aver pensato che tre giovani attori professionisti, per quanto bravi, avrebbero reso meno efficace, insomma più “finto”, il racconto del magnifico gesto, peraltro premiato con la Legion d’Onore dall’allora presidente francese Hollande. E proprio quella cerimonia, che fu ripresa dalle telecamere di mezzo mondo e ora il regista piazza nell’epilogo con qualche “inserto” ad hoc, rende addirittura tattile, concreto, l’intreccio tra ricostruzione e realtà, tra mito e giornalismo.
Naturalmente la sceneggiatura di Dorothy Blyskal non va dritta alla sostanza avventurosa annunciata dal titolo. Eastwood, anzi, sembra quasi divertirsi a spiazzare lo spettatore in attesa di un action-movie, sia pure in una cornice d’autore. Così, tranne due breve sequenze d’annuncio, bisogna arrivare circa al settantesimo minuto, su 94 totali, prima che i tre salgano su quel maledetto treno. A Eastwood, che infatti la prende alla lontana, interessa parlare d’altro: di un’amicizia nata alla scuola media sotto la presidenza di Bush padre, di una condizione umana legata alle madri single, delle giravolte del destino, soprattutto della determinazione di uno dei tre, il grosso Spencer, nel diventare soldato. Per Spencer “la guerra è una cosa speciale”, lo pensa sin dall’infanzia; ma il bambino, poi ragazzo, infine giovane uomo non si vede come una specie di Rambo. “Signore, fai di me uno strumento di pace. Solo dando si riceve” prega e teorizza, custodendo un afflato religioso che provocherà qualche sorriso nel pubblico italiano e tuttavia appartiene per intero a una certa idea dell’America custodita dal regista. Il quale, però, attenua la retorica insita nella vicenda inserendo qua e là delle battute ironiche, quasi a controbilanciare lo sguardo patriottico sui tre sempre in t-shirt polo, perfino all’Eliseo, s’intende un po’ ignoranti rispetto alla storia e alle bellezze europee. “Non potete prendervi il merito ogni volta che il Male è stato sconfitto” scherza infatti una guida turistica che li porta, a Berlino, proprio dove Hitler si suicidò per non farsi catturare dai russi entrati in città.
Rispetto a “Sully”, dove la presenza di Tom Hanks e gli effetti speciali facevano la differenza, “Ore 15.17. Attacco al treno” risulta un film girato in economia, pure in fretta, quasi con piglio documentaristico, per scelta o per necessità, adottando lo sguardo innocente e curioso dei tre americani in trasferta (le sequenze tra Roma e Venezia sono francamente bruttine).
A voler cercare il messaggio, Eastwood sembra dirci, facendo suo lo sguardo buono e gentile del prediletto Spencer Stone, che tutto è scritto, tutto tornerà utile un giorno per bloccare i cattivi e salvare vite umane. Never give up.

Michele Anselmi