L’angolo di Michele Anselmi
Ci sono le giacche a vento Moncler da omino Michelin e gli enormi moonboots da neve, “Se mi lasci non vale” di Julio Iglesias (purtroppo cantata tutti insieme in automobile) e Christian De Sica cicciottello in tv, i motorini “Ciao” e i braccialetti Scooby doo. Naturalmente spunta anche una Jeep Cherockee, modello ante-Fca. Il tutto per restituire l’aria del tempo, essendo la vicenda ambientata negli anni Novanta.
Da ieri, 21 maggio, “Magari” si può vedere gratuitamente su RaiPlay, sempre che non si blocchi com’è successo al sottoscritto e a molti altri (una pena vedere un film così). Doveva uscire nei cinema con Wildside e Bim a marzo, dopo l’anteprima a Locarno 2019 e il passaggio al Torino Film Festival, ma si sa com’è andata. L’ha scritto e diretto Ginevra Elkann, classe 1979, sorella più piccola di John e Lapo, già titolare di una piccola casa distributrice di cinema d’autore non più operativa.
Com’è? Vedo che negli strilli pubblicitari abbondano aggettivi come “candido”, “delizioso”, “sognante”, “intimo”, “sensuale”, e in effetti il film, partendo da un elemento autobiografico liberamente rielaborato, gioca la carta dell’elegia familiare, del ricordo d’infanzia, con una spruzzata di malinconia mista a rimpianto, dal retrogusto qua e là asprigno (ma non troppo). Siamo in zona Francesca Archibugi degli inizi, per capirci. Infatti anche questo è un esordio.
Non è una novità, al cinema, la vacanza fuori stagione che sbullona qualche sicurezza e apre orizzonti impensati. Capita ai tre fratelli Seb, Jacques e Alma, nati a Roma ma cresciuti a Parigi, dove abitano con la mamma ex artista convertitasi alla Chiesa ortodossa e nuovamente incinta (di un altro uomo). Essendo la gravidanza a rischio, i tre fratelli, ramo alta borghesia, vengono spediti per due settimane, sotto Natale, dal papà naturale, Carlo, un regista un po’ sfigato e vitalista, molto “tombeur de femmes”, che sta provando a scrivere un copione per Marcello Mastroianni insieme alla sceneggiatrice Benedetta. Solo che invece di portarli a Courmayeur, l’incasinato papà trascina tutti a Sabaudia, nella villetta della sua collaboratrice. Il mare d’inverno farà il resto; nel senso che, lontani dalle regole ferree imposte da “maman”, i ragazzini vivranno una specie di avventura, tra cose belle e meno belle.
Il tutto raccontato dalla voce narrante di Alma, evidente alter-ego di Ginevra Elkann: lei è una ragazzina vivace e sensibile, che spasima per un adolescente del luogo, sogna solo matrimoni e invoca la riappacificazione tra mamma e papà, al punto da bere la pipì in un bicchiere perché avvenga.
“Magari” è un titolo minimalista, possibilista, a suo modo speranzoso, come il film del resto: che allunga un po’ il brodo, si perde in dettagli inutili, gioca coi lividi paesaggi invernali e usa la doppia lingua, francese e italiano, per dirci l’esistenza sospesa tra due mondi dei tre fratelli. Il tocco è leggero, sin troppo, a tratti perfino inconsistente; ma sarà di sicuro colpa mia, non riesco più a vedere i registi irrisolti che scrivono battute fesse alla macchina per scrivere.
Riccardo Scamarcio e Alba Rohrwacher incarnano Carlo e Benedetta, lui vanesio ma in fondo buon padre, lei affettuosa verso la bambina ma gelosa dell’altra donna rimasta a Parigi. Oro De Commarque, Ettore Giustiniani e Milo Roussel sono i tre fratelli, rispettivamente Alma, Jacques e Seb (direi la cosa migliore del film). Battuta non male: “Gli artisti si devono esprimere. A volte non li fanno neppure, i figli. Quindi a noi è andata bene” filosofeggia Alma. Per la cronaca, Ginevra Elkann è mamma tre volte.
Michele Anselmi