Lo sceneggiatore e regista John Carney, rivelazione del Sundance film festival 2006 con Once, con Tutto può cambiare ci propone una commedia in agrodolce che ha come punto focale la musica. Greta (Keira Knightley) e Dan (Mark Ruffalo) sono due persone che si incontrano in un momento molto difficile della loro esistenza. Greta è stata appena lasciata dal fidanzato Dave (Adam Levine, meglio conosciuto come frontman del gruppo Maroon Five) il quale, stordito dall’inaspettato successo in campo musicale, dimentica quanto anche Greta abbia contribuito al raggiungimento di questo obiettivo. La ragazza, infatti, è un’ispirata cantautrice e di questo se ne accorgerà Dan, un agente musicale in crisi familiare e lavorativa. Ad unire due persone così diverse ma ugualmente disperate, sarà appunto la musica: Dan vede subito nella giovane cantautrice una possibilità di rientrare nel giro delle produzioni musicali. Sullo sfondo c’è la città di New York ed i suoi rumori. Dan decide infatti di registrare il primo album di Greta all’aperto con i suoni della città in background.

Carney ha tratto ispirazione dal suo stesso passato di musicista professionista per scrivere la sceneggiatura di Tutto può cambiare. E un aspetto che il regista ha preso in forte considerazione è il rapporto tra l’industria musicale proveniente dagli anni Novanta e le nuove generazioni di artisti che spesso e volentieri registrano e mixano da soli i propri album utilizzando un computer e raggiungendo risultati semi-professionali. Il film, sebbene mantenga un tono sostanzialmente leggero, mette sul piatto della bilancia anche riflessioni più profonde sulla vita, l’amore e l’amicizia. Le canzoni di Greta, fortemente autobiografiche, si integrano perfettamente nella narrazione e Keira Knightley convince anche in veste di cantante. D’altronde non è stata l’unica del cast a dover esplorare un territorio artistico non proprio di sua competenza. Anche il cantante Adam Levine, del resto, si è trovato a recitare, non sfigurando troppo a confronto con navigati professionisti del settore come Mark Ruffalo. Trovata davvero intelligente quella di non sviluppare in modo classico i rapporti tra i personaggi della storia. E il finale è quanto più di diverso ci si possa aspettare da un lavoro del genere, ecco cosa rende l’opera di Carney ancora più interessante.

Maria Rita Maltese