Laura Dern, attrice feticcio di David Lynch sin da Velluto blu, poco prima che iniziasse l’avventura di Twin Peaks – Il ritorno nell’acclamato ruolo di Diane, ci aveva avvertiti con un divertente video che riassumeva tutte le brucianti domande sollevate da quel finale della seconda stagione in cui l’agente Dale Cooper, dopo il suo intrappolamento nella Loggia nera, veniva sostituito da un doppio malvagio. Alcune di queste domande avrebbero trovato delle risposte, così è stato, mentre tutte le altre sarebbero state probabilmente ignorate. Lynch è stato di parola e nella puntata 8 – la meno narrativa di tutta la serie – ci ha voluto definitivamente portare indietro nel tempo, nel’46 durante il primo esperimento nucleare, ossia l’origine di tutti i mali del mondo: Judy/Experiment o anche Madre degli abomini. Questi i vari volti e nomi della creatura malvagia divenuta il vero antagonista della serie. Un’entità a cui finalmente viene dato un nome dallo stesso FBI, in uno dei più grandi fan service che Lynch abbia messo in scena mettendoci la propria faccia, quella dell’intuitivo e sensitivo Gordon Cole.
In una sceneggiatura scritta insieme al co-autore Mark Frost fra il 2012 e il 2014, Lynch senza improvvisazioni alla Inland Empire mette nero su bianco: la vicenda riguardante i doppelgänger e le azioni che avrebbero determinato i vinti e i vincitori nello scontro fra bene e male iniziato 25 anni prima diventa il vero centro, non più la città di Twin Peaks ed i suoi tanti personaggi.
Tuttavia le pedine di questa partita, Lynch ha deciso di moltiplicarle e renderle ancora più sconnesse e frammentate fra di loro, poiché vivono le loro surreali avventure, anche quando si incrociano, come se vivessero tutti dentro ad un grande sogno… Ma chi è il sognatore? Questo è il mantra ripetuto ossessivamente dai personaggi di Lynch, McLachlan e Monica Bellucci (che interpreta se stessa) mentre guardano in macchina da presa, rompendo la quarta parete. Per Lynch il sogno ha evidentemente la valenza di spettacolo e non va sempre preso alla lettera, anche se è per lui di grande importanza.
Per Lynch la visione di un film, meglio se su grande schermo, è come abbandonarsi ai propri sogni, andare in un altro mondo. Allora perché non far diventare questi mantra lynchani l’essenza anche di questa nuova stagione di Twin Peaks? Il finale che si dipana negli ultimi due episodi sembra mostrare una fedeltà proprio a questo principio e citare esplicitamente il dittico cinematografico di Strade perdute e Mulholland drive. Il ritorno non è quello di Twin Peaks, ma quello di David Lynch, che in quest’opera girata tutta d’un fiato si cimenta in quella che per lui è effettivamente una conclusione, anche se non a tutti potrebbe andare a genio il suo modus operandi.
In sintesi, Lynch mette in atto una serie di operazioni sperimentali che non è mai riuscito, principalmente per mancanza di finanziatori, a realizzare nella sua carriera. Showtime ha offerto carta bianca e il regista ha preso la palla al balzo per realizzare una sorta di testamento artistico. Rimane senza dubbio molto spazio per sognare dell’altro, magari filmandolo – in un ulteriore sequel cinematografico o in un racconto dal ciclo più breve – gli ultimi lasciti di quell’universo multi-livello che è Twin Peaks.
Furio Spinosi