L’angolo di Michele Anselmi 

John Madden, inglese, classe 1949, non è solo il regista di “Shakespeare in Love”, al quale certo deve la celebrità. Ha diretto tredici film per il cinema, tra i quali “Marigold Hotel” (con seguito), “Miss Sloane – Giochi di potere”, “Il debito”. E proprio a quest’ultimo, una storia di spie del Mossad durante “la guerra fredda”, viene un po’ da pensare vedendo “L’arma dell’inganno. Operazione Mincemeat”, nelle sale con Warner Bros da giovedì 12 maggio. La storia è vera, verissima, e quasi si stenta a credere che sia andata proprio così. Pensate: il servizio segreto britannico MI5 escogitò sul finire del 1942 un’ardita messa in scena, pure assai artigianale, quasi fatta in casa, per trarre in inganno Hitler e convincerlo che gli Alleati non sarebbero sbarcati in Sicilia, il 10 luglio del ’43, bensì in Grecia.
Come ha raccontato a Paola Casella per “La Lettura” lo scrittore inglese Ben Macintyre, autore del saggio “L’uomo che non c’era” (Mondadori), «gli stessi protagonisti erano coscienti dell’assurdità di ciò che stavano facendo. Il film coglie l’ironia del mettere in atto un imbroglio così paradossale, e aggiunge una misura di leggerezza a una vicenda, per altri versi, davvero dark».
Dark a partire dal nome dato all’operazione di depistaggio: appunto “Mincemeat” che significa carne tritata, macinata, ma in questo caso anche andata a male. L’idea, desunta da un romanzo giallo di Basil Thomson, fu suggerita dal giovane Ian Fleming, che fa da “io narrante” nel film, ai superiori Ewan Montague e Charles Cholmondeley. Che idea? Travestire da alto ufficiale inglese un cadavere reperito a Londra, dotarlo di un’identità verosimile e di documenti falsi altamente riservati, gettarlo in mare da un sommergibile perché arrivasse sulla spiaggia spagnola di Huelva in modo da suscitare la curiosità delle spie naziste ospitate dal dittatore Franco.
Così un poveraccio gallese suicidatosi con veleno per topi, tal Glyndwr Michael, diventò il maggiore William Martin, sposato con una certa Pam (nelle tasche dell’uomo furono fatte trovare anche una fotografia della donna e una lettera d’amore) e affogato non si sa bene come con una cartella di cuoio legata al corpo. «In ogni buona storia c’è quello che si vede e quello che non si vede» teorizza Fleming nell’incipit; il film, nell’arco di due ore, s’incarica di ricostruire la genesi, l’attuazione e il successo di quel colossale imbroglio che diede una svolta positiva alla Seconda guerra mondiale.
C’è un film precedente sul medesimo argomento, “L’uomo che non è mai esistito”, diretto nel 1956 da Ronald Neame e tratto da un libro dello stesso Montagu pubblicato due anni prima; solo che allora non si conosceva un dettaglio significativo, che dà forza alla versione di Madden: quel corpo non fu consegnato ai servizi segreti dai familiari ma rubato da un obitorio e tenuto a lungo in una cella frigorifera perché non si decomponesse troppo.
Naturalmente il nuovo film, quasi tutto ambientato a Londra, intreccia la Grande Storia e le piccole storie dei personaggi, in un continuo gioco di specchi tra finzione e verità, biografie inventate e rivalità amorose, in modo da introdurre un elemento di “romance”, che non guasta, tra i tre protagonisti principali: lo sposato Montagu, lo scapolo Cholmondeley e la vedova Jean Leslie, bene interpretati, rispettivamente, da Colin Firth, Matthew Macfayden e Kelly Macdonald.
Viene davvero da dire, con Macintyre, che «lo spionaggio, quando è fatto bene, assomiglia alla letteratura, perché inventa una realtà artificiale che cattura e convince come un romanzo». Gli inventori della folle operazione allestirono infatti qualcosa del genere, tra aspetti buffi, situazioni macabre, contrattempi vari, dentro quel rigido formalismo inglese, intriso di sentimenti trattenuti, che al cinema funziona sempre o quasi.
Se vi piace il genere, un po’ in stile “L’ora più buia” o “Il discorso del re”, questo è il film per voi (in inglese con i sottotitoli è ancora meglio).
PS. Impossibile non pensare alla guerra in Ucraina, vedendo il film, anche se oggi le tecniche di depistaggio, anzi di rappresentazione alterata del campo di battaglia, sono molto più rapide e sofisticate.

Michele Anselmi