Copia conforme di Abbas Kiarostami | Un bellissimo fallimento

Quando si è una copia e quando si è un originale? Ed è possibile che la copia sia più vera dell’originale stessa? Un regista in crisi che non ha la forza di tramutare il racconto di un malessere statico e stagnante in uno stato interiore dinamico. Nel film la tematica della ricerca introspettiva si traveste con l’esile trama della narrazione: un uomo e una donna che consumano il loro rapporto nell’arco di un giorno stabilendo un legame che li condurrà ad una finzione seduttiva. L’uomo non può essere originale neppure quando è la copia di se stesso, è condannato a mutare diventando altro sia da un originale che da una copia, con la constatazione rassegnata che in definitiva risultano essere la stessa cosa. La possibilità di mantenere la propria originalità è negata, l’uomo cambia diventando una misera copia di quello che era, un nuovo originale/copia destinato al mutamento e al suo progressivo destino di copia. Allora Copia e originale convergono per rappresentare il nulla, la morte. Non a caso il protagonista parlerà dell’arte e del suo valore proprio descrivendo la bellezza dei cipressi, noto simbolo mortuario, ripresi in un bel campo lungo del paesaggio. 

Il film si snoda nelle bellissime inquadrature dei luoghi Toscani (Arezzo, Lucignano, e Cortona) e non di minore bellezza sono le riprese in interni. Sempre spazi ristretti e ravvicinati a partire dalla scena in cui lo scrittore/protagonista sta presentando il suo libro: i nostri occhi osservano una piccola cappella in pietra, James è davanti ad un scrivania che potrebbe essere un pulpito e gli uditori sono di fronte rivolti all’ascolto. Poi, quando James raggiunge la Binoche (di cui non a caso non conosceremo mai il nome) nel suo negozio percorre delle scale che sembrano essere quelle di un a cripta. E nelle scene finali, quando i due raggiungono l’albergo, lo spazio si restringe nuovamente ma non per conferire intimità quanto piuttosto solitudine, la stessa solitudine che vediamo nel lungo primo piano del volto di James prima dell’inquadratura finale.

I dialoghi dei protagonisti sono intessuti di profonde riflessioni filosofico-esistenziali in linea con i grandi drammi teatrali borghesi. Ma nonostante questo la narrazione, anche quando si traveste nella forma del dialogo esplicito, risulta essere un monologo. Infatti nelle scene in cui abbiamo dei dialoghi montati con sequenze di primi piani i protagonisti non si parlano veramente, sono solo discorsi a tesi che gli permettono di rappresentare il ruolo di copia di se stessi. Mi riferisco al racconto di James dentro al bar, dove lo spettatore capisce che la protagonista è una donna infelice trascurata dal marito e piena di responsabilità alle quali non riesce a fare fronte. La stessa cosa accadrà nuovamente nel dialogo in cui fingono intenzionalmente di essere marito e moglie: sono seduti al ristorante e non riescono a vivere da originale il momento diventando copia della copia; riducendo il dialogo a un monologo personale nel quale si racconta tutta la sofferenza e la solitudine per non essere più quello che erano. Mentre nelle scene precedenti c’erano stati momenti di comunione reciproca e l’espediente dei primi piani era stato accantonato proprio per descrivere la comunicazione tra i due personaggi, ovvero tra i due protagonisti che avevano accettato il loro ruolo di originale, sapendo di essere un originale/copia, ovvero una coppia che nella realtà non esiste e che è però potenzialmente esistente in qualità di originale. Per essere un originale ci vuole coraggio e capacità di riappropriarsi di sé per mettere in gioco tutto. James non riesce a farlo, non riesce ad essere l’originale della sua copia, cioè a restare con la Binoche. Ma accetta passivamente di essere la copia di sè stesso sciogliendo il patto di finzione che aveva accettato di portare a termine con la donna. Soltanto la protagonista, di cui appunto non sappiamo il nome, è in grado di accettare di essere almeno per un giorno di nuovo un originale. Con sguardo laconico e fascinoso chiederà a James di restare con lei perché è la loro possibilità. Ma l’uomo freddamente ricorda alla donna che non può perchè deve prendere un treno alle nove. Nella scena finale abbiamo un campanile con i rintocchi delle campane, una sorta di lietmotiv sonoro che ritorna per tutto il film a cominciare da quando escono dalla conferenza alla scena in cui si incontrano nel negozio della Binoche, poi ancora nelle scene dei matrimoni, nella scena in cui entra in farmacia perché  si è agitata dopo il litigio del ristorante, e infine nella scena conclusiva.

Copia Conforme è un film sulla solitudine e sull’incomunicabilità, riflette dall’inizio alla fine sull’incapacità di stabilire un rapporto con la cosa in quanto tale e quindi con la realtà stessa. Ma ancora più amaramente neppure “ la cosa umana” , cioè l’uomo, ha la possibilità di stabilire un rapporto con sè stesso per trovare un senso pacificatore con l’esperienza della vita e della morte. Allora neanche il mezzo cinematografico essendo un mezzo tecnico può stabilire un rapporto con la cosa in sé e quindi con la realtà..
Tanti spunti e tante riflessioni che non riescono a fondersi tra di loro per creare un testo coeso e compiuto.