L’angolo di Michele Anselmi
Vedi il caso? Lo stesso giorno in cui trapela la notizia che Riccardo Scamarcio sta per diventare padre approda su Netflix il film “Gli infedeli”, che l’attore pugliese ha anche coprodotto oltre a recitarvi insieme a Valerio Mastandrea. Il remake, firmato da Stefano Mordini, stavolta è atipico: nel senso che il già bruttino originale francese del 2012, uscito anche in Italia col titolo “Gli infedeli”, resta solo uno spunto. I sette episodi, diretti da registi diversi, cambiano parecchio o del tutto nella revisione italiana scritta da Mordini insieme a Filippo Bologna e allo stesso Scamarcio; resiste invece la struttura, vagamente da commedia all’italiana vecchio stile, con i due mattatori – lì Jean Dujardin e Gilles Lellouche – che si danno il cambio, un po’ come succedeva nell’epocale “I mostri”.
Purtroppo l’effetto è disarmante. Nonostante una certa ambizione stilistica, a partire dai sofisticati titoli di testa con le tele di Pierluca Cetera, diciamo tra Lucien Freud e Egon Schiele, le quattro storielle, più un prologo e un epilogo nei quali compare anche Massimiliano Gallo, pescano in un catalogo loffio di tradimenti coniugali, piccole perversioni, scaltrezze maschili, desideri proibiti. Scamarcio e Mastandrea incarnano tutti i personaggi, con piccoli accorgimenti “fisici”: un paio di dentoni, un codino di capelli, una testa pelata eccetera; mentre il clima generale si muove tra buffo, ridicolo e deprimente, con trovate finali, di solito un sorriso del protagonista direttamente rivolto alla cinepresa, che dovrebbero accendere la complicità dello spettatore.
I maschietti fedifraghi e sciupafemmine rispondono a cliché abbastanza tradizionali, diciamo convenzionali. Uno s’imbarca con la moglie per un viaggio verso le Maldive dopo averla appena tradita, un altro confessa dopo cena alla compagna di aver fatto “un giro di giostra” con una più donna più giovane e lei ha pronta una sorpresina per lui, un altro frequenta nottetempo uno squallido bordello con le pareti piene di buchi dicendo alla consorte di andare a vedere il basket, un altro prova a rimorchiare chiunque durante una triste convention in albergo, eccetera. Naturalmente le coppie si chiamano “Amore” tra loro, anche se il sentimento che le univa pare evaporato da tempo: si cerca solo di tenere insieme i cocci.
Echeggiano frasi come “L’uomo è uno che deve spargere il seme” o “Quando scopiamo una donna scopiamo noi stessi che la stiamo scopando”; il tutto dentro un contesto musicale da commedia d’antan, con “It’s Not Unusual” di Tom Jones a fare da collante.
Scamarcio e Mastandrea si “divertono”, esagerando nella caratterizzazione, a restituire questi maschi italiani ora irrisolti ora infelici, solo a tratti scaltri, spesso cinici o infantili, che dovrebbero fotografare una certa irresolutezza sessuale tipica dell’uomo moderno. Francamente sono più convincenti le attrici coinvolte, che sono Valentina Cervi, Laura Chiatti, Euridice Axen e Marina Foïs. Ma tutta l’antologia (88 minuti) è all’insegna di una notevole mestizia.
Michele Anselmi