L’angolo di Michele Anselmi

Ogni tanto qualcuno mi chiede: “Che c’è da vedere su Netflix? Mi raccomando: un film, non una serie”. D’accordo. Consiglio allora il danese “Un marito fedele”, il cui titolo italiano va preso con le molle, diciamo per antifrasi. Perché non è affatto fedele il marito in questione. L’ha diretto, per Netflix, la regista Barbara Topsøe-Rothenborg e la mano femminile si sente, pur all’interno di una dimensione da thriller poliziesco con colpi di scena a ripetizione. Dura 105 minuti ed è tratto da un romanzo di Anna Ekberg (in realtà è uno pseudonimo usato da due scrittori danesi), pubblicato in Italia da Nord nel 2018 con lo stesso titolo.

La storia in breve, senza rivelare troppo. L’architetto Christian, al servizio di un’influente compagnia edile, è sposato da anni con Leonora, insieme hanno un figlio adolescente che s’è appena ripreso da una brutta malattia. Sembrano una coppia perfetta: casa elegante, due auto di lusso, agio, successo, amici che contano; ma lui non la tocca più da mesi, avendo un “affair” con una giovane collega, Xenia, conosciuta in cantiere. Due inopportuni sms notturni provocano il litigio tra i due coniugi e da allora sarà l’inizio di una sfida sul filo della menzogna e della vendetta destinata a fare delle vittime. Il tutto racchiuso in una cornice interessante: un padre poliziotto rievoca la vicenda alla figlia che sta per sposarsi, mettendola sull’avviso attorno ai rischi dell’amore coniugale: se infelice, può diventare un meccanismo devastante.

Dar Salim, Sonja Richter e Sus Wilkins sono i tre attori protagonisti, rispettivamente nei ruoli del marito, della moglie e dell’amante, fisicamente ben definiti: lui muscoloso e di origini non danesi, lei magra e bionda, l’altra giovane e sensuale. Un mix esplosivo, tanto più alla luce del ricatto esercitato sull’uomo dalla moglie, donna con un pesante scheletro nell’armadio.

Naturalmente bisogna accettare la piega crudele che la storia impone agli eventi, tra antichi e freschi omicidi, mentre la polizia indaga alla ricerca di prove introvabili, abilmente occultate. Ma francamente, più che il plot un po’ cervellotico, a tratti allucinato, colpisce lo sguardo che la cineasta posa sulle dinamiche della coppia sposata, soprattutto sui tormenti meschinelli, pure umanissimi, di quell’uomo maldestro, in crisi, diviso tra la moglie arcigna, ormai respingente, e l’amante sensuale, oltremodo esigente. Sarà difficile per gli spettatori maschietti non provare un minimo di solidarietà.

Un tempo, prima del planetario Netflix, avrebbero di sicuro fatto un remake a Hollywood del film danese.

Michele Anselmi