L’angolo di Michele Anselmi

Il misterioso titolo, legato alla liturgia cattolica, in realtà segnala una data precisa: il 24 giugno 1964. Quel giorno, a Bologna, Pupi Avati sposò Amelia Turri, la donna della sua vita. Ecco spiegato il significato di “La quattordicesima domenica del Tempo ordinario” (nel post-scriptum in fondo a questo pezzo troverete i dettagli), nuovo film dell’84enne cineasta bolognese nelle sale da giovedì 4 maggio con Vision Distribution. “Parlo di me in un modo tutt’altro che pudico, sarà perché sono in quella parte della vita nella quale si rendicontano le cose e si fanno confidenze” spiega Avati incontrando lo stampa. Un po’ è così, anche se in buona misura tutto (o quasi) il cinema di Avati è autobiografico, pur nella frequentazione dei generi più diversi.
Il nuovo film è malinconico e senile, in linea con un certo stato d’animo ulcerato che il regista, rivolgendosi ai giornalisti, ha riassunto nella formula, spero solo retorica: “Siamo tutti falliti, solo che voi ancora non lo sapete”. Naturalmente dentro “La quattordicesima domenica del Tempo ordinario” si mescolano alcuni dei temi consueti: l’amore adolescenziale e il disamore coniugale, la musica tra gioia e dolori, l’amicizia tradita, il caso che riconnette i destini, i morsi dell’insuccesso, il rapporto irrisolto col padre.
Edwige Fenech e Gabriele Lavia sono Sandra e Marzio, si amarono da giovani, decidendo di sposarsi, ma presto la coppia scoppiò: lui troppo geloso, dedito all’alcol, incapace di misurarsi con la realtà; lei bella e paziente, ma estenuata dalle scenate dell’uomo, presa dal suo mestiere di indossatrice, pure resa infertile da una malattia. I due si incontrano ai funerali di un amico comune, il potente banchiere Samuele, ovvero Massimo Lopez, che da giovane, nella Bologna anni Sessanta, formò con Marzio un duo musicale di fragile notorietà, chiamato “I Leggenda”. Non si vedevano da anni, si lasciarono nel rancore, ma adesso, viaggiando verso i settanta angustiati da inciampi economici, un barlume di affettuosa amicizia sembra riaccendersi.

E intanto partono i flashback che ci riportano prima nella Bologna del dopoguerra, al mitico chiosco di gelati Romoli di via Saragozza, e poi al tribolato amore giovanile tra Sandra e Marzio, con Samuele a fare da terzo incomodo, innamorato di lei e amico di lui (sono rispettivamente Camilla Ciraolo, Lodo Guenzi e Nick Russo).
Una patina nostalgica, a tratti in bianco e nero, avvolge la storia asprigna che Avati racconta alla sua maniera un po’ vetusta, o se preferite classica, tra accensioni musicali e bozzetti locali. Quanto c’è di Pupi in Marzio? Non saprei dire, essendo il regista un amabile bugiardo; e tuttavia, benché il vecchio chitarrista giri ancora stretto nel cappotto di pelle, con l’orecchino, i capelli tinti e la chitarra Gibson di allora, risulta evidente che quanto teorizza, con quella voce sommessa, molto s’addice allo spirito attuale del regista.
Chi apprezza il cinema di Avati ritroverà in “La quattordicesima domenica del Tempo ordinario” un certo patetismo lucido, come a riflettere sulla natura umana, le strettoie dell’esistenza, l’illusione della rivincita. Il film risulta, a me, un po’ sbiadito sul piano della ricostruzione, preferisco le parti contemporanee, più tendenti al livido, a quelle ambientate negli anni Sessanta, più colorate. A farci annusare l’aria del tempo ecco una sequenza da “La vita agra” di Carlo Lizzani, con Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli; ecco immagini d’epoca con il Mago Zurlì e Ilaria Occhini; ecco alcune note del vecchio blues “St. James Infirmary“; ecco i riferimenti al Cantagiro e ai Dik-Dik.
“Le cose belle sono volate via” dice la canzone che torna spesso nel film, e sembra questo il quieto messaggio che Avati comunica allo spettatore, senza piangersi addosso. Le musiche di Sergio Cammariere e Lucio Gregoretti s’intonano a una certa idea di commento musicale, tra lirico ed emotivo, molto spalmato; il fedele Cersare Bastelli si occupa della fotografia.
Dico la verità: dopo il vitale e non oleografico “Dante”, mi aspettavo qualcosa di meglio, un po’ meno zoppicante e sospirato, da Avati; uno sguardo più a fuoco su questa storia in bilico tra irresolutezza esistenziale e autobiografia romanzata. Ma sono certo che il film troverà i suoi estimatori, sia nelle sale sia quando arriverà su Sky.

PS. Nel rito romano della Chiesa cattolica il Tempo ordinario dura trentatré settimane, divise in due distinti periodi: dalla domenica dopo l’Epifania all’inizio della Quaresima, dalla Pentecoste fino all’Avvento.

Michele Anselmi