E’ da ieri nelle sale il terzo e ultimo capitolo del franchise Una notte da leoni, la conclusione di una saga che ha avuto non poco successo soprattutto oltreoceano. Ma, quando si tratta di sequel, il rischio che l’ultimo episodio non sia all’altezza dei precedenti è dietro l’angolo. Accade spesso, infatti, che la fama acquisita con il lancio sia tale da consentire un successo prolungato nel tempo a prescindere dalla qualità del prodotto: ciò che è avvenuto in Italia con Una notte da leoni 2 che, pur essendo di livello inferiore, ha ottenuto un grande successo al botteghino arrivando ai 9.349.000 a fronte dei 641.000 della prima pellicola.

Una notte da leoni 3 è l’epilogo di un’odissea in cui si alternano gag divertenti a scene comiche, ma l’ironia a cui assistiamo è distante anni luce dalle aspettative. Dopo due anni dall’ultimo viaggio, Phil (Bradley Cooper), Stu  (Ed Helms) e Doug (Justin Bartha) sembrano aver messo la testa a posto, quando scoprono che Alan (Zach Galifianakis) ha smesso di assumere i farmaci che gli consentono di tenere sotto controllo i suoi impulsi. Decidono così di accompagnarlo in un centro riabilitativo dove possa ricevere le cure di cui ha bisogno. Peccato che non arriveranno mai a destinazione. I quattro si troveranno nuovamente in balia dei disastri provocati da Leslie Chow che li riporterà a Las Vegas, dove tutto anni prima ebbe inizio. La sceneggiatura, scritta dal regista Todd Phillips in collaborazione con Craig Mazin, perde non poca della verve che avevamo conosciuto. Al di là del soggetto e del cast, si tratta di un film che basa tutto sull’effetto sorpresa, sugli sketch freschi e sulle battute originali, ma una volta scoperto il vaso di Pandora è difficile riuscire a mantenere lo stesso ritmo coinvolgente ed esilarante. C’è ben poco da sorprendersi, ma ciò che prima faceva ridere a crepapelle, ora fa un po’ sorridere, ma niente di più.

Stefania Scianni