L’angolo di Michele Anselmi
Fosse ancora vivo, il critico Tullio Kezich l’avrebbe definita “un’operina mozartiana”, e in effetti qualche aria di Mozart riecheggia nel film, insieme a “La Javanaise” di Juliette Gréco, ma serve per parlare d’altro: dell’amore, anzi di “Una relazione passeggera”. Il film del 52enne francese Emmanuel Mouret esce giovedì 16 febbraio nelle sale, targato Movies Inspired/Bim, dopo l’anteprima a Cannes 2022; non so, con l’aria che tira per il cinema transalpino, quanti l’andranno a vedere, ma se vi attirano le commedie sentimentali in bilico tra Eric Rohmer e Woody Allen, lo dico per schematizzare, fareste bene a non perderlo. È ben scritto, diretto, recitato, fotografato, secondo un gusto francese che, dietro il tono leggiadro, custodisce un’indagine accurata sulle strettoie dell’esistenza e la condizione umana.
Un 28 febbraio, di venerdì, Charlotte e Simon finiscono a letto insieme dopo essersi incontrati in un bar (si era conosciuti a una festa). Lei è single, con tre figli di varia età, di una bellezza irregolare, elegante; lui è sposato, con due figli, barbuto e un po’ goffo. “Ho voglia di far l’amore con te” sospira la donna, schietta e disinibita; “Va tutto così in fretta, eh!” tentenna l’uomo, a prima vista timido ma con due profilattici in saccoccia. I due si sentono reciprocamente attratti, però nessuno parla d’amore, preferendo che le cose vadano come devono andare, “senza programmi”. E intanto il rapporto si fa più stretto, complesso; l’allegria esibita, anzi teorizzata, è turbata ogni tanto da un soprassalto, uno sguardo strano, un imbarazzo. Un giorno, un po’ per curiosità e un po’ per gioco, i due decidono di fare un passo che potrebbe rivelarsi parecchio rischioso…
Il film è la cronaca degli eventi, racchiusi nel corso di pochi mesi, con un epilogo due anni dopo. Sarebbe un errore rubricare “Una relazione passeggera” sotto l’etichetta “cinema della chiacchiera”, anche se certo Mouret fa molto parlare i due amanti, arpeggiando su una partitura agrodolce, cesellata, più arguta di quanto capiti in genere nella vita vera (anche per questo si chiama cinema). L’idea interessante è di lasciare il sesso, benché assai evocato e gioiosamente praticato, sempre fuori scena. Così la commedia mette a fuoco un po’ alla volta i caratteri dei due protagonisti, anche il diverso modo di vivere la passione: per lei “molto rumore per nulla”, per lui un sentimento da tenere sotto controllo sul filo di un confortevole pudore. Ma sarà proprio così?
Sandrine Kiberlain e Vincent Macaigne, lei ha dieci anni più di lui ma non si direbbe vedendoli, incarnano Charlotte e Simon, ciascuno dei due portando una certa idea dell’amore connessa ai rispettivi tic verbali, abiti, comportamenti, mestieri. Lei sembra pacificata con sé stessa dopo alcune delusioni sentimentali, lui si sente in colpa ma in fondo tradire la moglie non gli dispiace. Georgia Scalliet invece fa Louise, così dolce e inattesa, come una freccia di Cupido che colpisce il bersaglio.
Mouret cita una massima di Stendhal, la poesia di Gaston Miron, la musica di Ravi Shankar, mostra pure una sequenza di “Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman, e tuttavia gli omaggi non suonano invadenti, esibiti, come in tanto cinema italiano più o meno erudito. Sarà perché il discorso sull’amore, a luce naturale, leggero ma non inconsistente, toccante ma non piagnone, custodisce un sapore universale nel quale ciascuno potrà, credo, riconoscersi.
Michele Anselmi