“Valeria lascia perdere questa storia, è diventata troppo pericolosa, ne troverai sicuramente una migliore”.
– “Eh no, non ho mai lasciato una storia a metà”.
Perché non concludere il racconto di una storia che promette di sbancare il lunario nel mondo cinematografico? Forse perché la mafia dà la caccia al suo autore, o meglio a colui che ha portato alla luce una storia che doveva restare segreta. Ma la vera domanda è: si parla di un autore o di un’autrice? La posizione di questa figura è tanto ambigua quanto i personaggi che dovrebbero prendere parte al film “Una storia senza nome”, ma non quello che lo spettatore guarda, piuttosto quello che vede la sua produzione all’interno della storia narrata. Il film di Roberto Andò del 2018, ma disponibile su Netflix dal 5 luglio, è una sorta di matrioska al cui interno si celano dettagli che pian piano si svelano, anche se non sempre in maniera lineare.
Uno sceneggiatore, Alessandro Pes; una segretaria timida, introversa, con la passione per la scrittura, e per lo sceneggiatore, interpretata da Micaela Ramazzotti; un alto funzionario di polizia; la mafia siciliana, il cinema e la Natività di Caravaggio. Questi gli elementi fondamentali del film che trae la sua forza dal ruolo di Valeria, una donna piena di talento e carattere che si cela dietro l’ombra di un uomo di successo. Lei scrive, lui ha successo. Lei scrive, lui trascorre le giornate sul bordo piscina. Lei lo ama, lui la usa.
La metamorfosi di Valeria è repentina ed inevitabile, visibile fin dal mutamento dei suoi accessori, dei suoi capelli e delle sue movenze: rossetto rosso, capelli tirati indietro, trucco scuro e lenti a contatto al posto degli occhiali. La fantasia di Valeria la porta a confrontarsi con una realtà pericolosa da cui neanche i suoi scritti possono proteggerla, ma il suo valore che troppe volte è stato attribuito ingiustamente ad altri, deve essere dimostrato.
Il perché la storia si evolva e come non è dato saperlo, intervengono personaggi e situazioni che irrompono senza preamboli, non considerando che lo spettatore possa non essere in linea con la storia: come compare l’uomo che contatta Valeria per proporle una storia da raccontare? Come fanno esponenti del cinema ad essere invischiati con la mafia? Che fine fa il quadro? Valeria riuscirà ad ottenere il riconoscimento dovutole? Tutte queste domande non ottengono mai risposta, solo nella scena finale ci sono riferimenti a fatti di cronaca reali che hanno visto protagonista la mafia nella sottrazione del quadro di Caravaggio da un oratorio di Palermo circa cinquant’anni fa.
In principio non viene dichiarato se si stia facendo riferimento ad una storia reale, quali siano i veri protagonisti, piuttosto vengono presentati una serie di personaggi che, in un’alternanza di musiche di suspence, drammatiche e ritmate con scenografie per lo più cupe, portano a galla i nomi di morti, misteri e pentiti che ruotano intono ad una tela di cui ancora ad oggi non se ne conosce il destino.
Cristina Quattrociocchi