L’angolo di Michele Anselmi
Alice Rohrwacher, 41 anni, da Fiesole, sorella di Alba, è habituée del festival di Cannes. Ha girato quattro film, tre dei quali sono stati accolti in concorso sulla Croisette negli anni: due premiati, “Le meraviglie” e “Lazzaro felice”; questo nuovo, intitolato “La chimera”, passa oggi in gara e sapremo domani se avrà fatto breccia nel cuore della giuria. La regista gode di un forte sostegno critico per il suo stile non convenzionale, diciamo finto-naïf ma invece meditato ed erudito, poetico o poetizzante a seconda dei punti di vista, e quindi c’è una certa curiosità, nell’ambiente, per questa opus. n 4, come sempre prodotta da Carlo Cresto-Dina per la società Tempesta.
Rohrwacher orchestra favole strane, spesso immerse in un’Italia d’altri tempi, marginale e aristocratica allo stesso tempo, tra osservazione antropologica e condivisione sentimentale, bozzetti dialettali e affondi misticheggianti. Non fa eccezione “La chimera”, il cui titolo un po’ enigmatico sembra poco rimandare al mostro della mitologia greca, semmai più al significato traslato: “ipotesi assurda, sogno vano, utopia”.
Siamo nei primi anni Ottanta, forse il 1982, al confine tra alto Lazio e bassa Toscana, lì dove le sotterranee necropoli etrusche ancora non censite sono depredate da abili “tombaroli” del luogo al servizio di un misterioso ricettatore con interessi internazionali.
Una bella ragazza, come ritratta in uno scolorito filmino casalingo, apre il film, sapremo poi che si chiama Beniamina: forse è morta, forse no. E intanto facciamo la conoscenza in treno con uno spilungone inglese, un certo Arthur, vestito di bianco, anche se l’abito ha vissuto tempi migliori. È appena uscito dal carcere, non vorrebbe attaccare bottone, ma è costretto a difendersi da commenti meschini. Faceva archeologo, s’innamorò di quella terra e di quella fanciulla, ma ora sembra un relitto d’uomo nonostante la giovane età. Vive in una baracca di latta sotto le mura medioevali del paesino, custodendo un segreto sotterraneo.
Arthur è molto ricercato dagli amici profanatori, casinari e disoccupati, per le sue facoltà di rabdomante: non sbaglia un colpo con le bacchette, cammina, annusa ed ecco spuntare fuori la “nuova” tomba ricolma di fibule, amuleti apotropaici, sonagli, tazze, monete, oggetti preziosi, talvolta anche statue di Cibele. Sarebbero meraviglie “solo per gli occhi delle anime”, ma il commercio è florido, redditizio, la merce assai richiesta all’estero.
Il film, dall’andamento lento e girovago, circa 130 minuti, sfodera feste di paese e sagre campagnole, uomini vestiti da Mandrake o truccati da donna, una vecchia nobile svanita che non vuole abbandonare la villa sgarrupata nell’attesa che torni Beniamina, una delle sue figlie (le altre sono avide e vogliono vendere tutto), protervi ricettatori con base in Svizzera e manutengoli feroci lesti a mascherarsi da Carabinieri per spaventare Arthur e i suoi amici ladri, in fondo una specie di famiglia per lo straniero.
“Se ci fossero ancora gli etruschi non ci sarebbe tutto questo machismo in Italia” sentiamo dire a un certo punto da una donna, e la battuta, come le altre scritte dalla regista, è di quelle che si perdonano, forse, solo nella prospettiva adottata da questo film intriso di suggestioni rurali e sottolineature femministe (quella comunità muliebre nell’abbandonata stazioncina ferroviaria). Occhio al “filo di Arianna” che compare nel manifesto: forse un aiuto al moderno Teseo incarnato dal fantasmatico inglese.
Senza darlo a vedere o forse sì, Rohrwacher molto omaggia i classici. Fellini innanzitutto (ormai sono tutti “felliniani” in Italia), a partire dalla scena di “La dolce vita” con la statua in volo, per non dire di “Roma”, espressamente citato: la maestosa oscurità di una tomba violata dall’uomo che irrompe e provoca, a causa dell’aria, l’immediato dissolvimento dei magnifici colori sopravvissuti per secoli. Ma non mancano nemmeno il Pasolini di “Uccellacci e uccellini”, tra corvi, surrealismi, velocizzazioni farsesche e cantastorie dal vivo con disegni srotolati, un pizzico del mondo poetico di Zavattini e il consueto uso di canzoni pop: da “Una vita al massimo” di Vasco Rossi a “Gli uccelli” di Franco Battiato, più s’intende Monteverdi e Mozart.
Se piace il cinema di Alice Rohrwacher, ai miei occhi sempre un po’ faticoso, consiglio di vedere “La chimera” quando uscirà nelle sale il 6 dicembre prossimo, prima di Natale, con Rai Cinema. Bisogna però armarsi di pazienza e soprattutto apprezzare la recitazione degli interpreti coinvolti, a partire dal protagonista 33enne Josh O’Connor, che fu fragile principe Carlo in “The Crown” e qui appare ancora più sperduto e laconico, stazzonato come il suo abito. Tra i volti noti ci sono Isabella Rossellini e Alba Rohrwacher, in due cammei piuttosto coloriti, l’aristocratica decaduta e la bieca trafficante, in linea con il clima generale della storia ad alto tasso simbolico.
Michele Anselmi