Una serata passata a videochattare su Skype può trasformarsi in un gioco al massacro e mutare le modalità di narrazione cinematografica del teen horror? Questa sembra la scommessa che il regista di origini russe Levan Gabriadze pare voler mettere in atto con un film low budget dalla forte componente social e uno stile registico improntato al live story-telling. La ripresa, un lungo piano sequenza dall’inizio alla fine fissamente inquadrato sullo schermo del computer di Blaire, mentre in una tranquilla serata sei amici si trovano per chiacchierare, gioca il suo ruolo disturbante nella vicenda di un suicidio misterioso, che è tutto da scoprire e di cui verremo a comprendere le reali cause solo alla fine. Sin dai primi minuti c’è un’istanza fantasmatica incarnata da due filmati amatoriali caricati su piattaforme video (Youtube e LiveLeak) riguardanti il suicidio misterioso di una ragazza, Laura, che mettono subito in chiaro la mastodontica messa in scena di stampo classicamente horror a sfondo adolescenziale.
Fin qui, dunque, niente di nuovo, se non fosse che a giocare un ruolo fondamentale sono l’alternanza fra schermate di videoconversazioni su Skype, forum, profili di Facebook, che si va a spogliare di qualsiasi necessità narratologica di operare tramite il montaggio. Lo scopo di creare ansia, più che spavento, viene delegato ai vuoti dati dalle pause e dilatazioni temporali passate dalla protagonista ad interagire con una chat testuale dialogante con il supposto fantasma della deceduta Laura Barns. Una scommessa che mette a dura prova il pubblico assuefatto agli horror da cardiopalmo e che potrebbe rischiare di annoiare. Ciò che sembra realmente interessante è la fascinazione del regista per questo universo desolante del virtuale, che costringe i sei protagonisti a venire a patti con la propria incapacità di comunicare o di interagire col mondo esterno, se non gridando o incolpandosi a vicenda, come nei migliori giochi al massacro, per essere stati in qualche modo complici del suicidio della ragazza. Anche quando messi in serio pericolo, piuttosto che cercare aiuto di persona si affideranno ad altre chat esterne per chiedere soccorso a degli sconosciuti.
Infine, la causa stessa del suicidio della ragazza, amica della protagonista, sembra essere internet stesso e incarnata da un video registrato per prendere in giro la sua reputazione di ragazza promiscua. Dunque, se apparentemente il film pare uno sterile esercizio di stile ingabbiato in un genere cinematografico molto restrittivo e rigoroso, Unfriended sembra voler riflettere o almeno lanciare un monito sulle insidie del web e della fragilità della reputazione personale quando, in una società ormai perfettamente convivente con gli aspetti virtuali, non sembra più esistere la dimensione privata e intima di un soggetto. Similarmente agli horror orientali, a partire da The Ring finendo per i più recenti thriller/horror coreani messi a servizio del web 2.0 (Live Tv, Socialphobia), i social e il monitor del pc diventano il fine. E il fine del fantasma, invisibile, che torna dal regno dei morti si nutre di un sentimento di assoluta vendetta nei confronti dei protagonisti, senza risparmiare nessuno.
Furio Spinosi