Unknown – Senza identità | Tra convinzione e pazzia
“E’ una specie di guerra combattuta tra quello che ti dicono che sei e quello che tu sai di essere”. Questa frase, con cui il protagonista spiega quello che secondo lui è la pazzia, descrive la trama di un thriller dal sapore inquieto e psicologico. La sceneggiatura non sarà delle più originali (diverse sono infatti le pellicole che trattano il tema dello scambio di persona/personalità e dell’identità violata), ma c’è da dire che se si è alla ricerca di un film in cui i colpi di scena non mancano allora la sala nel maxicinema di turno è indubbiamente quella giusta.
Unknown – senza identità, per la regia di Jaume Collet-Serra, ha forse il difetto di partire troppo spedito, catapultandoci in neanche mezz’ora in una serie di eventi a dir poco assurdi se sommati insieme: piccoli particolari che torneranno utili ai fini della comprensione di un disegno narrativo ben preciso, vengono però gettati in maniera troppo precipitosa (sarà per via del rinnovato mood degli action/thriller movie!). Fatto sta che (quello che si pensa essere) il dottor Martin Harris, interpretato da Liam Neeson, nelle prime ore successive all’atterraggio a Berlino, dove si reca con la moglie Liz (January Jones) per un congresso sulle biotecnologie, diventa protagonista di alcune sospette disavventure: smarrisce una valigetta importantissima, si vede cancellare una prenotazione in un albergo a causa di problemi di sicurezza, resta vittima di un incidente in taxi, entra in coma e al suo risveglio scopre, rifiutandosi però di credere, che la moglie è in realtà sposata con un’altra persona e non vuole saperne di riconoscerlo.
Ecco: se si riesce a proseguire nella visione del film senza che questa risulti compromessa dal cosiddetto “troppo che storpia”, allora il resto è davvero ben fatto e si vedranno ricomporre i tasselli che in un primo momento ci sembravano inspiegabili (ed esagerate!) coincidenze in una parabola di eventi che ci terranno con il fiato sospeso, fino a scoprire il paradosso nel paradosso riguardo la vera identità del protagonista.
Il regista alla fine riesce a rendere alla perfezione l’idea dello spaesamento e dell’incertezza punti chiave del romanzo da cui il film è tratto, Fuori di me di Didier Van Cauwelaert: solo il pubblico già abituato a perdite di memoria dal retrogusto di spy-story ed “appropriazioni indebite” di identità altrui (vedi ad esempio The Bourne Identity) riesce a non pensare neanche per un attimo che forse il protagonista sia pazzo per davvero, e questo a livello registico è già una formidabile conquista; con la complicità delle inquietanti ambientazioni, è perfetta la grigia e freddissima Berlino, e delle numerose scene di inseguimento e lotta , ecco che l’unica certezza che ci rimane è chiamare il protagonista con il suo vero nome: Liam Neeson.
Marco Napolitano