L’angolo di Michele Anselmi
Non per fare i puristi, ma per quale cacchio di motivo nella versione doppiata del nuovo film di Zhang Yimou, ambientato negli anni cupi della Rivoluzione culturale cinese (1966-1969), gli abitanti di un remoto Distretto rurale chiamano in inglese, cioè “Heroic Sons and Daughters”, un melodrammone bellico il cui titolo originale recita “Ying xiong er nü”? Boh. Del resto non si spiega nemmeno perché lasciare il titolo internazionale, “One Second” (un secondo, nel senso del tempo), invece di tradurre o inventarne uno in italiano.
Zhang Yimou, classe 1951, è stato per molto tempo il regista cinese più apprezzato e noto in Italia. Penso a film straordinari come “Sorgo rosso”, “Lanterne rosse”, “Vivere!”, “Non uno di meno”; la storia d’amore con Gong Li fece il resto. Il suo “One Second” esce oggi, 16 dicembre, tra le cine-strenne natalizie, dopo un passaggio alla Festa di Roma, e c’è da ringraziare Fenix Enternainment ed Europictures per averlo distribuito, nonostante la pecionata sul titolo di quel film di Zhaodi Wu, girato nel 1964, e molto popolare nella Cina maoista per l’intreccio di eroismo militare e faccende familiari (gli “eroici figli e figlie” avevano combattuto accanto alla Corea del Nord).
Presentato giornalisticamente come una sorta di “Nuovo Cinema Paradiso” alla cinese, “One Second” in realtà è un film amarognolo e asprigno, politicamente interessante, che usa la cosiddetta “magia del cinema” per raccontare una storia di miseria e solitudine, anche di fanatismo ideologico, sia pure attraverso il filtro di una soffusa nostalgia.
La vicenda in breve e senza dire troppo, perché non mancano le sorprese. Una bambina dai capelli arruffati, l’orfana Liu, ruba dalla borsa di una motocicletta una bobina del film suddetto, appena proiettato in una specie di Casa del Popolo. Ma anche un misterioso fuggitivo, Zhang, lacero e affamato, arrivato nel villaggio attraversando il deserto, cerca quella bobina, per ragioni diverse. Liu ha bisogno della pellicola solo per ricomporre una lampada rotta dal fratellino; Zhang perché dentro quello spezzone di pochi minuti, il Cinegiornale n. 22, c’è qualcosa che deve assolutamente vedere per fare pace con sé stesso.
Accadono molte cose in “One Second” e certamente avrete capito che la ragazzina e il giovane uomo, pur essendo estranei, hanno qualcosa in comune. Il tutto mentre, in un altro villaggio, lo stimato proiezionista detto “Mister Cinema” si vede costretto a restaurare con mezzi artigianali proprio la “pizza” rovinata di quel film, mentre centinaia di persone fremono per l’attesa.
Ha un andamento strano “One Second”, all’inizio non capisci bene che cosa stia succedendo, ma un po’ alla volta si precisa il disegno emotivo di Zhang Yimou: tenere insieme in un’unica storia l’amore per il cinema che fu, la stagione nefasta delle Guardie Rosse e il senso di paternità che può sbocciare dovunque. Il tutto condito da un tocco di “impermanenza”, come avrebbe detto Bertolucci.
Zhang Yi, Liu Haocum e FanWei sono rispettivamente la bambina-monello, l’evaso braccato e il proiezionista con un segreto doloroso; ma il regista, celandosi dietro quei tre personaggi, sembra soprattutto parlare di sé, nel ricordo dei suoi anni giovanili e certo di una propaganda comunista dai tratti alquanto disumani.
Michele Anselmi