Vacanze Romane | Di un siciliano attraverso il festival
Quarta Stazione
a cura di Gabriele Sabatino
Roma | Auditorium, Posteggio | 18 ottobre ’09
Impossibile non dirlo subito. Parnassus, il film di Terry Gilliam è in questo momento in pole position tra i film più belli visti a questo Festival. Alle 9, nonostante proiezione stampa, c’era già moltissima gente ad attendere l’apertura della Sala Petrassi. Parnassus – L’Uomo che voleva ingannare il Diavolo (questa la traduzione italiana di The Imaginarium of Doctor Parnassus) non è solo un altro capolavoro visionario di Mr. Gilliam, ma è anche un ulteriore tributo/omaggio a un attore che (senza false lacrime di coccodrillo) era davvero potenzialmente molto molto bravo (e l’Oscar conferma ciò): Heath Ledger. Tutto ciò è amplificato da un andirivieni da questo “specchio magico” di altri bravissimi (e giustissimi) attori che hanno portato a termine l’opera attoriale rimasta incompiuta di Ledger: un affascinante Jhonny Deep, un frenetico Jude Law, e un perfido Colin Farrel (che, sommato questo film alla sua interpretazione di Triage, film d’apertura, posso affermare che è la vera star assente del Festival).
Il film mi ha rapito e lasciato senza fiato. Delle immagini sensazionali, oltre il visionario. Visione sarebbe una parola riduttiva in questo caso. Meglio “immaginazione”. Parnassus ha il potere di farti andare oltre quello che vedi, oltre lo specchio (ancora dopo “Alice”). Sublime l’ingresso della prima anima portata da Ledger, emozionante l’intensa motivazione di scelta tra buono e cattivo tradotta e proposta in chiave di amore/morte, e sullo sfondo attori, regia, fotografia degna di pagare qualsiasi biglietto pur di vederlo.
Come mi piace dire in questi casi, un film del genere non ha bisogno di occhialini, perché la terza dimensione è intrinseca al film.
Come mi piace dire in questi casi, un film del genere non ha bisogno di occhialini, perché la terza dimensione è intrinseca al film.
Uscendo dalla sala ho voglia di assaporare un po’ di Festival senza chiudermi in sala. Ho fatto un giro per il Village Cinema, questo enorme spazio creato appositamente per il festival che si estende da un’estremità all’altra del Parco dell’Auditorium. Al suo interno stand dei vari partner dell’evento, salottini dove prendere un boccone (e magari trovare Valerio Mastrandrea che prende un caffè), studi televisivi e radiofonici e le altre Sale (quelle più grandi: Salacinema IKEA e Salacinema Lotto).
In programma nel pomeriggio un po’ di starlette nostrane, che hanno dato voce all’atteso Astro Boy, film di animazione di David Bowers (in 3D), dove troviamo Silvio Muccino nei panni del piccolo robot protagonista, Carolina Crescentini in quelli della sua combattiva amica Cora, e il Trio Medusa nella parte di tre squinternati robot rivoluzionari. Alla critica non è piaciuto (voci di corridoio) e dunque (regola confermata) al pubblico sì. Imperdibili le foto di Edoardo Campanale per Scatti Romani
Nonostante un altro importante red carpet, quello di Sergio Castellitto con “Alza la testa”, film di Alessandro Angelini, io ho preferito vedere un altro titolo in concorso: Plan B di Marco Berger. Posso dispensare consigli al regista? Faccio una brevissima parentesi per spiegarvi una cosa (a mio parere) molto importante nel cinema (nella sua scrittura).
Ellissi è un termine cinematografico che viene usato per indicare quelle parti della storia che non essendo significative ed importanti nella dinamica narrativa non vengono prese in considerazione dal racconto e quindi dalla colonna visiva, non vengono insomma mostrate. Tutto questo non va assolutamente a scapito della comprensione degli eventi, anzi rende possibile concentrare in un tempo cinematografico di circa due ore eventi che se raccontati per intero occuperebbero molte più ore, se non una giornata o addirittura mesi e anni. Il salto narrativo che permette di annullare i tempi morti accorciando la durata della narrazione si chiama ellissi (fonte www.pacioli.net)
Perché vi dico questo? Perché il film Plan B non ha ellissi. Due scene fra tutte. La lettura di una lettera. E’ ovvio che io spettatore o voglio sapere cosa c’è scritto nella lettera, quindi una voce fuori campo che la leggerà per me o, se ho deciso di non condividere con il pubblico il contenuto di essa, userò appunto una ellissi. Invece Berger no: ci fa stare lì, con il protagonista che in silenzio legge la lettera. Stessa cosa succede con un’urgenza fisiologica. Il protagonista deve andare in bagno, e noi aspettiamo che lui vada in bagno, che faccia i suoi bisogni, e che torni. Plan B, nonostante questo racconta una bella storia d’amore. Ma l’escamotage con cui lo fa a volte annoia, a volte stanca, a volte è incomprensibile. Tutto avvolto tra l’altro da una fotografia non buona.
Per consolarci andiamo a salutare sul tappeto rosso il premio Oscar Helen Mirren, qui per presentare “The Last Station”. Ci vogliono i biglietti per entrare (è una proiezione “pubblico”) e io preferisco andare a vedere “Chaque jour est une fête” di Dima El-Horr. Non l’avessi mai fatto. Ritorna (sembra quasi un paradosso) il problema dell’ellissi visto sopra. Qui però è anche estremo. Camminiamo per 20 minuti nel deserto, senza dire nulla, e senza che questo possa minimamente inficiare la storia. La storia si risolve nelle ultime 3 battute del film. Tutto il filmato precedente è pressoché inutile. La storia non ci dice cosa pensano le tre donne che rimangono sempre sullo sfondo di una storia che non si muove, che sta ferma e che non ci dice perché è lì, quale scopo, cosa dobbiamo sentire, se dolore, gioia, ribrezzo, voglia di scappare. Every Day is a Holiday è il titolo meno adatto a questo brutto film, a nostro parere senza nessuna chance di vincere il concorso.
Nonostante ciò tutti, e dico tutti coloro che incontro, oggi hanno una frase unanime: vedere Le concert di Radu Mihaileanu, ovviamente fuori concorso. Recupero e vi dirò.
Intanto mi preparo emotivamente per l’incontro di domani con Asia Argento. Sounds good.
Sabatino | Oltre lo specchio
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