Venere nera | Signori e signore, la Venere ottentotta!
Meritava il Leone d’Or
o della 67esima Mostra del Cinema di Venezia. Ma l’incredibile storia di Sarah Baartman deve aver urtato non poco anche l’animo pulp del presidente Tarantino, facendolo ripiegare sul filmettino (squisito ma pur sempre degno del diminutivo) dell’ex compagna Sofia Coppola. Perché Venere Nera di Abdel Kechiche scuote lo spettatore nel profondo, fa tappare gli occhi, ci mette a nudo di fronte ai concetti di senso del limite e del pudore. Con fare vorticoso e avvolgente, il regista di Cous Cous mette in scena la storia di Saartjie, donna ottentotta (gruppo etnico dell’Africa sud-occidentale) impiegata prima in zoo umani nei sobborghi della Londra dei primi dell’800 e poi esportata a Parigi come fenomeno da baraccone nelle case di nobili lascivi e depravati. Successivamente sarà oggetto del piacere in una casa chiusa e di studio (sotto gli occhi e le mani di scienziati senza scrupoli) presso l’Accademia Francese di Medicina.

Kechiche rappresenta una storia vera, una realtà cruda e crudele, muovendosi con disinvoltura tra i quattro pilastri di intrattenimento, scienza, dignità e compassione. Il corpo umano, in questo caso di donna, è ridotto a oggetto di ludibrio e scherno, analisi e voluttà. Saartjie viene esibita come una primitiva di Rousseau e trattata come una bestia, come un orso o un cavallo al quale dare addirittura lo zuccherino come premio durante l’esibizione. Si contrappone così civiltà e vita selvaggia, inscrivendo (a sorpresa) popolani londinesi e ricchi parigini in questo secondo settore.
Magistrale e magnetica, la regia pullula di primi(ssimi) piani di plebei come estratti da slums dickensiani e di nobili sporcaccioni come prelevati da incisioni del 19esimo secolo.
Straordinaria la prova dell’intero cast artistico: Olivier Gourmet è istrionico e senza ritegno, violento e affabulatore in ogni suo gesto; Andre Jacobs, dietro la sua faccia scolpita e sudata, è intimo e aggressivo nei panni di un domatore di uomini per il quale c’è ancora una possibilità di redenzione; intensa, sconvolgente e commovente la prova di Yahima Torrès, i cui occhi lucidi, stremati e disperati rimangono a lungo nella nostra mente.
Tommaso Tronconi