Verdetto perfetto a Venezia
Leone d’oro a “Nomadland”
e l’argento a “Nuevo orden”

La Mostra di Michele Anselmi per Cinemonitor / 13

Sacrosanto verdetto alla 77ª Mostra del cinema, l’edizione dell’emergenza e della mascherina. Il Leone d’oro è andato a “Nomadland” di Chloé Zhao, americano, il film che racconta con stile lucido e severo, senza affondi ricattatorii ma con pagine toccanti, la vita “nomade” di una sessantenne vedova e senza lavoro, meravigliosamente interpretata da Frances McDormand. Il Leone d’argento – Gran premio speciale della giuria è stata assegnato a “Nuevo orden” di Michel Franco, messicano, un viaggio, “distopico” ma non troppo, nell’orrore di una dittatura militare che con il pretesto di reprimere una rivolta popolare abbatte ogni residuo di democrazia.
Erano anche i miei preferiti, se avete letto le cronachette del sottoscritto dal Lido; ma questo conta poco o nulla, se non per il fatto che raramente coincidono i giudizi dei critici e della giuria. Quanto agli altri cinque premi a disposizione, direi che Cate Blanchett e i suoi giurati (per l’Italia c’era lo scrittore Nicola Lagioia) abbiano calibrato con una certa abilità la ripartizione geografica.
Per esempio alla voce Italia: Pierfrancesco Favino, l’attore più premiato degli ultimi anni, pure giustamente, si porta a casa la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile grazie a “Padrenostro” di Claudio Noce. Il film non è granché, anzi si fatica a capire perché fosse in concorso, e tuttavia il premio a Favino, pure coproduttore, lenisce almeno in parte la delusione patriottica che sento già affiorare dai commenti. A quanto pare “Miss Marx” , “Notturno” e “Le sorelle Macaluso” non sono piaciuti proprio: capita.
In buona misura prevedibile, ma del tutto ragionevole, la Coppa Volpi per la migliore interpretazione assegnata all’attrice inglese Vanessa Kirby, già principessa Margaret in “The Crown”. In “Pieces of a Woman” si produce in una prova da brivido: mezz’ora di parto, tra urla, sofferenze, soffiate e cattivi pensieri, e noi sappiamo, vedendo, che tutto andrà male.
Difficile anche non concordare sul Premio Mastroianni per il miglior attore rivelazione: il ragazzino iraniano Rouhollah Zamani attraversa “Khorshid” con una grinta neorealista, frutto della vita reale, che resta negli occhi e nella mente. O sul premio per la migliore sceneggiatura andato all’indiano Chaitanya Tamhane per “Il discepolo”, film complesso e audace, per nulla noioso, sull’eterno dilemma tra talento e passione (qui c’è di mezzo la musica tradizionale).
Infine: se suona un’esagerazione il Leone d’argento per la migliore regia attribuito al giapponese Kiyoshi Kurosawa, che firma il melodrammone anni Quaranta “Moglie di una spia”, corretto ma impersonale, è decisamente una sottovalutazione il Premio speciale della giuria caduto su “Cari compagni!” di Andrei Konchalovsky, o se preferite Andrej Končalovskij. L’83enne cineasta russo avrebbe meritato ben altra considerazione nel palmarès finale per la forza del suo film in bianco e nero, rigoroso e implacabile nel ricostruire un massacro di manifestanti inermi nascosto per trent’anni dall’Unione sovietica.
In ogni caso, la giuria ha deciso così e bisogna starci. Non era facile portare a casa un risultato del genere nell’anno della pandemia, e certo il neopresidente della Biennale, Roberto Cicutto, e il direttore della Mostra, Alberto Barbera (uscente e rientrante), hanno di che essere soddisfatti. La loro è stata una scommessa calcolata ma rischiosa, non solo per la complessità delle procedure sanitarie messe in campo al fine di rendere “sanificata” la Mostra cosiddetta della ripartenza. Il Leone d’oro andato a una giovane regista anglo-cinese che lavora negli Usa è stata la ciliegina sulla torta in questa edizione all’insegna di una densa rappresentanza femminile.
Semmai ci sarebbe da ridire sulla serata di premiazione andata in diretta su Rai Movie. Tutta all’insegna di una retorica piagnona e fasulla: prima la poesia scritta e detta con birignao teatrale dall’attrice Mariangela Gualtieri, poi la canzone “Adesso” cantata da Diodato con accompagnamento di violino; infine l’enfasi che la madrina Anna Foglietta ha dispensato a piene mani, recitando oltre misura la parte della resistente sognatrice, dicendo banalità del tipo: “Come posso restare indifferente davanti alla bellezza di questa Mostra?” (vorrei proprio sapere chi ha scritto i testi).
Dimenticavo: un’altra consolazione per l’Italia viene dal premio per la migliore sceneggiatura andato a Pietro Castellitto, figlio di Sergio, per il suo film “I predatori”, generosamente accolto da Barbera nella sezione Orizzonti. Nel salire a ritirarlo, il giovanotto ha detto: “Solo gli infami e i traditori sono brevi nei ringraziamenti”. Se voleva essere una spiritosaggine gli è uscita malissimo.